'Ndrangheta in Veneto, ecco le richieste del pm per i 34 imputati: 150 anni di carcere
L’indagine Camaleonte è quella sul cosiddetto “clan Bolognino” dal cognome dei fratelli considerati a capo dell’organizzazione, in collegamento con la famiglia calabrese Grande Aracri

SALMASO.CONFERENZA STAMPA GS GALLIERA
VENEZIA Centocinquant’anni di carcere e 11 milioni di euro di confische: tanto ha chiesto, ieri, la pm della Distrettuale antimafia Paola Tonini per i 34 imputati che hanno scelto il rito abbreviato davanti al gip Luca Marini, nella prima maxi inchiesta della Dda veneta sulle infiltrazioni della ’ndrangheta calabrese in Veneto, tra Venezia, Treviso, Padova, Vicenza.
L’indagine Camaleonte è quella sul cosiddetto “clan Bolognino” dal cognome dei fratelli considerati a capo dell’organizzazione, in collegamento con la famiglia calabrese Grande Aracri.
Processo che vede imputati anche imprenditori e sodali veneti, che hanno trattato e agito per il gruppo criminale accusato di usura, riciclaggio, minacce: tutti quei “reati fine”che ci si aspetta da un’associazione di stampo mafioso che “investe” al nord.
Se la richiesta di condanna più pesante è per quello che viene considerato il capo-clan, Michele Bolognino - 13 anni e 4 mesi di reclusione e 10 mila euro di multa; 7 anni e 5 mesi e 8 mila euro al fratello Francesco e un anno e 5 mesi alla giovane figlia Noemi Andrea - dal punto di vista delle confische sono gli imprenditori accusati di aver favorito il gruppo malavitoso ad essere chiamati pagare.
Come Leonardo Lovo, di Campagna Lupia, per il quale la pm chiede una condanna a due anni di reclusione, 6 mila euro di multa, ma anche la confisca di quasi 2 milioni di euro per il profitto legato ai reati tributari e di 3,2 milioni per i proventi da riciclaggio. Condanna altrettanto onerosa per il padovano di Piove di Sacco Adriano Biasion: 3 anni e 6 mila euro e un totale di 5,2 milioni di euro di confische per il profitto da reati tributari e riciclaggio.
Secondo la Procura antimafia Lovo, originario di Camposampiero, era al servizio del “giro nero” insieme all’amico Adriano Biasion. I due sono accusati di aver messo a servizio dell’organizzazione come “cartiere” di false fatture società che amministravano insieme: la Biasion group e Biasion Adriano Srl, nel campo dell’edilizia. Inoltre, sarebbero poi stati gli amministratori di fatto anche di una rosa di società usate nei raggiri e, ufficialmente intestate ad altri: un centinaio.
A parlare di un giro di riciclaggio di denaro sporco di circa 200-250 mila euro al mese è stato il pentito Giuseppe Giglio, che con quei soldi pagava le false fatture emesse dagli imprenditori compiacenti. I due ricevevano il danaro da Giglio, lo davano a una delle società compiacenti (non senza aver prima trattenuto per loro dal 7 al 10%), che acquistavano a loro volta falsi servizi da una delle imprese direttamente gestite dalla cosca: così i soldi tornavano all’origine.
Finché l’Iva era agevolata al 10% – dice l’accusa – questo era il loro guadagno, ma quando l’aliquota era al 22%, il compenso per Lovo, Biasion e l’imprenditore alberghiero veneziano Federico Federico Semenzato (la cui posizione è stata stralciata, perché ha pagato le pendenze con il fisco) è sceso al 7%.
Tra gli imputati veneti, la pm Tonini ha chiesto anche la condanna a 2 anni e 3 mila euro per i padovani Federico Schiavon e per Loris Zaniolo, per false fatturazioni. Tra le condanne più alte richieste 12 anni, 8 mila euro di multa e 232 mila di confische per il commercialista e mente contabile del gruppo Agostino Donato; 10 anni per Giuseppe “Andrea” Richichi; 5 anni e 2 mesi per Gaetano Blasco, ritenuto esponente della cosca in Emilia dove vive; 7 anni e 4 mesi, 10 mila euro di multa e 370 mila euro di confisca per Antonio Brugnano.
Prosegue intanto a Padova il processo con rito ordinario a un’altra parte del clan, compreso Sergio Bolognino,con quartier generale a Tezze sul Brenta, ritenuto al vertice dell’articolazione veneto-emiliana.
Argomenti:operazione camaleonte
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