'Ndrangheta in Veneto, parla l'imprenditore veneziano: "Dovevo firmare o sarebbe finita male"
L’imprenditore racconta come è stato raggirato con la complicità di un suo ex collaboratore. «Mi avevano proposto la permuta con un appartamento a Bassano che non ho mai visto»

VENEZIA. Il notaio Gianluigi Maculan finisce nell’inchiesta “Avvoltoio” perché nel suo studio, e secondo l’accusa, con la sua complicità Antonio Genesio Mangone “estorce” uno stabile all’imprenditore edile di Camponogara Mario Borella.
Gli soffia da sotto il naso un immobile del valore di 75 mila euro. È uno dei nuovi elementi che la Procura Antimafia di Venezia porta a sostegno della richiesta di misura cautelare in carcere per Mangone che nella prima inchiesta Camaleonte di marzo, il gip aveva messo ai domiciliari.
Oltre all’estorsione ai danni di Borella nella richiesta vengono elencate anche quelle a due altri imprenditori di Rubano e della Riviera del Brenta.
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Mario Borella, già candidato a sindaco di Camponogara con la lista “Prima il Veneto” conosce Mangone, grazie all’amico e imprenditore di Piove di Sacco Adriano Biasion. Infatti Borella, tramite il collega, si affida a Mangone per chiudere un affare con un altro calabrese in Romania. Mangone convince il calabrese a trovare l’accordo con Borella.
Durante l’indagine Camaleonte i finanzieri della Compagnia di Mirano trovano documentazione relativa a strani passaggi di denaro e rogiti tra Mangone e Borella.
Riguardano uno stabile di Sanbruson di Dolo e uno di Bassano del Grappa. L’affare prevedeva che l’edificio di Bassano dovesse essere acquisito da Borella, mentre quello di Dolo da Mangone. Alla fine doveva essere una permuta. Ma così non è stato. Nell’affare entrava anche Biasion considerato dagli investigatori uno dei principali complici del clan calabrese nel “lavare”, con le sue imprese edili, i soldi sporchi provenienti dalle estorsioni.
Quando scattano gli arresti di marzo, Borella si presenta alla Guardia di finanza di Mirano e racconta di come gli è stato soffiato l’edificio di Sanbruson, nello studio Maculan presente anche Biasion.
Scrive il gip nell’ordinanza: «Borella riferiva di non avere sottoscritto liberamente la quietanza presso il notaio Maculan, bensì di essersi determinato a farlo in quanto costretto dal comportamento intimidatorio posto in essere principalmente da parte di Mangone. Borella, pur ammettendo di non avere ricevuto esplicite minacce da parte di Mangone, esponeva di avere firmato temendo che, in caso contrario, sarebbe andato incontro a conseguenze negative».
Mette a verbale Borella: «Io questo atto l’ho firmato perché se non avessi firmato sicuramente sarei andato in cerca di problemi o di grane, io non volevo... Va bene lo dico chiaramente io paura ne avevo non poca ma tanta..., sono stato obbligato a andare, perché avevo paura che succedesse qualcosa dì più brutto... se non lo firmavo le cose si mettevano male».
Poi riportando le frasi di Mangone: Tu devi venire a firmare perché se vuoi i soldi... devi firmare la vendita del negozio ... Tu devi venire a firmare e basta! Tu vieni a firmare perché questo è un atto che bisogna fare. E te lo dico io».
L'intervista a Borella.
«Sono stato truffato. Lotterò con tutte le forze per riavere il mio immobile o il denaro che mi spetta».
A raccontare cosa è successo nei dettagli è lo stesso Borella. «La vicenda ha avuto inizio circa 4– 5 anni fa quando a causa dalle separazione da mia moglie ho cercato di vendere per necessità degli immobili. A quel punto ho chiesto ad Adriano Biason, che è stato mio collaboratore per anni, se poteva acquistare un negozio che si trova a Sambruson di Dolo in via Argine Sinistro».
Biason disse a Borella che non avrebbe potuto comprarlo ma avrebbe comunque potuto indirizzarlo verso la Bologna Group, società che faceva riferimento Antonio Mangone.
«Mi fu offerto in questo caso non un acquisto ma una permuta del valore di 75 mila euro. Cioè una cessione reciproca di proprietà (uno scambio fra due immobili dello stesso valore).
Io sarei dovuto diventare proprietario di un a Bassano del Grappa che mi è stato detto era di proprietà dello stesso Mangone. Ma mentre Mangone acquisì subito la mia proprietà, io accettai di differire la sua permuta di un anno».
Dopo un anno però il passaggio di proprietà non avvenne. Fu chiesta invece una ulteriore proroga. «Nel frattempo il negozio che avevo ceduto nella permuta» continua Borella «era stato acquistato da una persona del posto per 70 mila euro».
«A marzo di quest’anno ho perso la pazienza e ho chiesto di essere saldato. Sono stato portato da un notaio di Saonara. Lo stesso notaio che aveva gestito alcuni passaggi dell’operazione della permuta. Li mi fu dato un assegno di 75 mila euro che poi mi è stato tolto dopo aver dichiarato che avevo ricevuto il corrispettivo per l’appartamento. Sono rimasto con in mano 5 mila euro e la fotocopia dell’assegno».
«Ho scoperto poi» conclude Borella «che l’appartamento di Bassano non era di Mangone ma di Biason. Che aveva però uno scoperto in banca di circa 70 mila euro e non poteva certo essere venduto. Il mio negozio ora è stato affittato dal nuovo proprietario a una pizzeria da asporto a quanto ne so. Rivoglio il mio immobile o i soldi che mi spettano. Io non mi arrendo».
Argomenti:operazione camaleonte
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