’Ndrangheta in Veneto, prime condanne: 9 anni a “Gheddafi”, il boss del Veronese

Domenico Multari dovrà anche risarcire con 330 mila euro un imprenditore padovano ridotto a vivere in una roulotte
PADOVA 28/07/2011 BERGAMASCHI/FOSSELLA DIA ARRESTO DOMENICO MULTARI ESPONENTE ANDRANGHETA
PADOVA 28/07/2011 BERGAMASCHI/FOSSELLA DIA ARRESTO DOMENICO MULTARI ESPONENTE ANDRANGHETA

VENEZIA. Prima condanna per associazione per delinquere di stampo ’ndranghetista, in Veneto. . L’ha emessa ieri il Tribunale di Venezia, condannando i quattro componenti della famiglia Multari, accusati dalla Procura antimafia di essere legati alla Cosca Grande Aracri di Crotone e di aver spadroneggiato con metodi mafiosi nella Bassa Veronese, con estorsioni per centinaia di migliaia di euro e minacce alle loro vittime.

A sollevare il velo su quanto avveniva con base nella piccola Zimella – paese di 5 mila abitanti in provincia di Verona, dove la famiglia ha messo su casa – è stata un’indagine dei carabinieri del Raggruppamento operativo speciale, coordinata dalla pubblico ministero Paola Tonini.

Molto diverse tra loro, comunque, le posizioni dei quattro imputati.

Ieri, il giudice per le udienze preliminari David Calabria ha emesso la sua sentenza: 9 anni di reclusione e 10 mila euro di multa per Domenico “Gheddafi” Multari, considerato il capo clan; 3 anni e 2 mesi di reclusione per il fratello Fortunato Multari; due anni e 8 mesi di reclusione (e 800 euro di multa) per il figlio Alberto e 2 anni per l’altro figlio, Antonio Multari.

Pene che tengono conto dello sconto di un terzo concesso dal rito abbreviato, in cambio di un processo basato sugli atti a fascicolo, senza i tempi più lunghi del tradizionale dibattimento in aula. La pm aveva chiesto condanne più alte, da 4 a 12 anni di reclusione.

Una sentenza accolta con soddisfazione dagli inquirenti, che sperano che così le vittime trovino la forza di costituirsi parte civile: altri sono i processi in corso in Veneto per associazioni di stampo mafioso, ma le vittime quasi mai accusano. Nel caso Multari, però, uno ha trovato la forza di farlo.

Domenico Multari, interdetto per sempre dai pubblici uffici, è stato infatti anche condannato a risarcire – sin da subito, in attesa della causa civile che verrà – 330 mila euro (più 4500 euro di spese legali) di provvisionale all’uomo la cui vita è diventata un inferno dopo l’incontro con il clan: Gianni Fornasa, l’unico ad aver avuto la forza di costituirsi parte civile, tra le diverse vittime di soprusi.

L’imprenditore padovano, che si trovava in difficoltà economiche, si era rivolto a Domenico Multari per una serie di prestiti, ritrovandosi con un debito di 480 mila euro: «Completamente asservito», scrive la Procura, «precipitava in uno stato di indigenza tale da dover lasciare la sua abitazione che era venduta all’asta per andare a vivere in una roulotte».

Un’altra delle vittime – accusa l’Antimafia di Venezia – era stata forzata ad acquistare tre immobili all’asta per conto della famiglia, riducendosi in miseria: solo quando ormai la donna era stremata dal cancro, Multari si sarebbe detto disposto a comprare i beni. Poi minacce agli ufficiali giudiziari che si presentavano, con possibili altri acquirenti, per visitare le proprietà sulle quali la famiglia aveva posato gli occhi.

Certo, si tratta di una sentenza di primo grado, che potrà essere impugnata in appello, come già annunciano le difese dei condannati.

«Noi riteniamo che non ci sia l’aggravante mafiosa e ne discuteremo in appello», ha commentato l’avvocato Migliucci, legale difensore di Domenico e Antonio Multari, «ma è molto importante che il giudice abbia riconosciuto il ruolo marginale del giovane figlio Antonio, per il quale sono cadute tutte le accuse tranne un episodio marginale e per il quale l’accusa aveva chiesto 8 anni. In generale, aver rideterminato le pene in termini più bassi, significa che c’è stata una valutazione diversa da parte del giudice».

«Siamo parzialmente soddisfatti del risultato, perché forse le pene richieste dal pm ci sembravano più congrue e quanto al risarcimento per ora è solo sulla carta», il commento dell’avvocato di parte civile Fontanin, «Fornasa è provatissimo, ma ha avuto il coraggio di dare un’importante partecipazione alle indagini con le sue dichiarazioni, ma anche di esporsi fino alla fine perché non si ripetano episodi di questo tipo verso altri imprenditori nel nostro territorio». 

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