Nel nuovo romanzo di Marco Goldin il “diario ritrovato” di Van Gogh

Nel libro del critico trevigiano gli ultimi giorni dell’artista, è un racconto immaginato ma ricostruito sulla base degli studi. «Nel cassetto c’era un quaderno un po’ lacero»

Anna Sandri
Il critico trevigiano Marco Goldin
Il critico trevigiano Marco Goldin

“Sono salito lungo la scala ripida, fino al sottotetto. Volevo sistemare la sua camera, rifargli il letto. (...) Il cassetto del comodino era socchiuso e sbucava un quaderno un po’ lacero, di pelle verde scura, con dei ricami dorati e il dorso nero. Non ho resistito e l’ho aperto. Era il suo diario”.

L’ESPEDIENTE NARRATIVO

Gradino dopo gradino, c’è lo scricchiolio del legno, l’aria afosa di luglio, un respiro appena affannato dal caldo del sottotetto nell’espediente letterario al quale Marco Goldin si affida per entrare, con passione e forse ormai quasi con amore fraterno, nell’ultimo capitolo della vita di Vincent van Gogh, l’artista al quale ha dedicato una vita di studi e al quale adesso dedica un romanzo in forma di diario, opera creativa ma basata su ricerche e studi di una vita. “Gli ultimi giorni di Van Gogh. Il diario ritrovato” esce oggi in libreria edito da Solferino; per il critico trevigiano, che nella sua lunga carriera di curatore ha realizzato sei grandi mostre monografiche sull’artista, ne ha esposto centinaia di opere, ha scritto una monumentale biografia e ne ha curato l’edizione delle Lettere, si tratta dell’inizio di un percorso importante. Questo testo diventerà infatti un podcast, in uscita dal 27 settembre e poi per cinque martedì; e diventerà anche, senza cambiare il titolo, uno spettacolo teatrale che attraverserà tutta l’Italia partendo l’8 novembre da Trieste.

I SEGNALI DELLA MENTE

È un romanzo perché Vincent van Gogh non teneva un diario e dunque Arthur Gustave Ravoux, titolare della locanda di Auvers dove l’artista trascorse le ultime settimane della sua vita dal 20 maggio 1890 alla morte il 29 luglio successivo, non aprì alcun cassetto, non trovò alcun quaderno lacero dalla copertina verde e soprattutto non dimenticò di consegnarlo ai famigliari tra gli effetti personali del pittore restituiti dopo la morte. Ma se lo avesse scritto, Goldin ne è certo, le cose che avrebbe raccontato sono quelle che ora si leggono nelle sue pagine. Lo studio delle lettere scritte in quelle settimane (meno numerose rispetto al consueto) e dei dipinti realizzati in quei giorni (moltissimi, rispetto al consueto) raccontano uno stato d’animo, una visione del mondo e del sé, un percorso segnato verso un finale che fu tragico, e che tutti conosciamo.

QUEL GIORNO A VICENZA

«L’idea di un libro così strutturato, una narrazione che si basa su documenti ma non si trasforma in saggio, mi è venuta cinque anni fa, nella Basilica Palladiana di Vicenza mentre allestivo “Van Gogh. Tra il grano e il cielo”. Lì per la prima volta ho pensato di fargli tenere un diario. Ho iniziato a scrivere, sono nate le prime 15 pagine». Ma la scrittura chiede tempi intensi: «Ero preso da molte altre cose, e mi sono fermato. Poi nel 2020, mentre ero al Kröller-Müller Museum per presentare alla stampa la mostra che si sarebbe tenuta a Padova, l’idea è tornata e nei mesi successivi, complice anche il lockdown, ha preso definitivamente forma».

L’idea è quella di concentrarsi sulle ultime settimane di vita del pittore, raccontate da lui stesso nel taccuino poi trovato e trattenuto dal locandiere alla sua morte: «La componente di fiction ovviamente c’è; ma è sempre appoggiata alla realtà. Racconto situazioni reali ampliando le emozioni e lo sguardo: tutto si intreccia strettamente. Deve essere chiaro che nella realtà non c’è nessun diario ritrovato, ma io sono certo che se Van Gogh in quelle settimane avesse scritto i suoi sentimenti, queste sono le cose che avrebbe scritto».

LA PAGINA PIU’ AMATA

Mettendo assieme lettere (vere) e dipinti di quei giorni, Goldin fa viaggiare la mente di Van Gogh nei ricordi, anche d’infanzia, nel suo rapporto con la natura; conoscendo alla perfezione la sua storia, si prende la libertà e l’impegno di dare voce ai suoi pensieri in giorni di frenesia lanciati verso l’ultimo e definitivo tormento.

La pagina che ama di più, tra tutte, forse quella del 24 luglio quando Vincent affida al diario, anziché a una lettera, parole rivolte al fratello Theo: «quello che avrebbe voluto, e potuto, scrivere».

Questo racconto si sta trasformando in spettacolo teatrale; Goldin sarà solo su una scena ad alto impatto tecnologico ed emotivo, tra maxischermi monumentali (dieci metri di lunghezza per quattro di altezza) e il contraltare di musiche delicate, da lui stesso scelte (grazie alla disponibilità e alla stima della famiglia) tra tutte quelle composte da Franco Battiato. «Non sarò Vincent né Ravoux, ma una figura terza. E non sarò, perché non lo sono, un attore ma un narratore: mi muoverò tra campi di grano virtuali e la stanza ricostruita di Vincent; esiste un canovaccio, non un copione, per cui lo spettacolo sarà ampiamente a braccio e a ogni replica un po’ diverso».

UNA LETTERA DA VINCENT

Con questo libro, Goldin ancora non ritiene chiuso il suo rapporto con Van Gogh: «Molto è ancora da dire. Non lo ho mai indagato, ad esempio, dal punto di vista del fratello Theo».

È ormai in atto un processo di identificazione totale? «Certo, Van Gogh è sempre stato nella mia vita. Per le sue opere e per altro: appena laureato pensavo di dedicarmi all’insegnamento della storia dell’arte nelle scuole, e affrontai il concorso. Il tema che uscì era l’analisi del Ritratto del Postino Roulin». Forse Vincent gli stava facendo recapitare una missiva, per indicargli un’altra strada.

Una sola cosa manca, e continuerà a mancare: «Scriveva in una lettera che le persone si tenevano lontane da lui perché aveva una voce sgraziata. Chissà com’era, in realtà».

DALLE PAGINE AI TEATRI: SARA’ ANCHE UN PODCAST

Dal 13 settembre in libreria “Gli ultimi giorni di Van Gogh. Il diario ritrovato” (Solferino, pp 229, 17,50 euro) di Marco Goldin (foto in alto) critico e curatore trevigiano. Diventerà podcast e spettacolo teatrale.

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