Nel Veneto degli obiettori, oltre 7 ginecologi su 10 non praticano l’aborto

In Veneto, più di sette ginecologi su dieci non praticano l’interruzione di gravidanza. Obiettori di coscienza.
I numeri
Sono 252 dei 352 professionisti che lavorano negli ospedali del Veneto, a dirlo sono i dati forniti dalla Regione stessa. A questi, dati del Ministero della Salute, si aggiungono 240 anestesisti (il 37.3% del totale) e 474 operatori sanitari non medici (38.6%). Un esercito, che costringe le donne che non intendono proseguire la loro gravidanza ad affrontare un percorso non soltanto doloroso, ma complesso anche da un punto di vista molto pratico. E intanto, nel 2021, gli aborti nella nostra Regione sono diminuiti rispetto all’anno precedente: da 4.129 a 4.086. Dei quali il 35.6% praticato con la somministrazione del Mifepristone, la pillola Ru486.
Gli obiettori negli ospedali
In Veneto, l’interruzione di gravidanza si trasforma spesso in un percorso a ostacoli. A Mestre, viene praticata da un solo ginecologo sui venti che lavorano nell’ospedale della città. A Vicenza, da due su diciotto. A Verona, da sei su venti. A Padova, da sei su ventidue. Eppure è un diritto previsto dalla legge italiana: la 194 del 1978, che consente alle donne di abortire entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari. Un diritto previsto dalla nostra legge, ma non sempre tutelato, nel concreto. Le motivazioni possono essere le più varie. Un esempio: nel 2020, un aborto su quaranta è stato portato a termine da ragazze che avevano tra i 15 e i 17 anni.
Cosa dice la legge
È la stessa legge a stabilire che enti ospedalieri e case di cura autorizzate siano tenute «in ogni caso ad assicurare l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti». Ma anche la legge è costretta a sbattere contro il muro dell’obiezione di coscienza. In Veneto, ad esempio, tra le strutture nelle quali potrebbe essere praticata l’interruzione di gravidanza, più di una su sette è in realtà inaccessibile alle donne.
Eppure il diritto all’aborto è ormai parte della serie dei diritti acquisiti nel nostro Paese. Si pensi all’esito del referendum del 1981, ben 42 anni fa, quando il 68% degli italiani alle urne votò «No» al referendum proposto dal Movimento per la vita, che di fatto eliminava qualsiasi circostanza giustificativa dell’interruzione di gravidanza.
Gli italiani dei primi anni ’80 votarono convintamente contro quella proposta di legge. Ma i dati di oggi mostrano quanto il proposito di autodeterminazione abbia ancora molta strada da fare, perché possa sostanziarsi appieno. Ed è particolarmente vero in Veneto, una delle Regioni con i tempi d’attesa maggiori: oltre le tre settimane, nel 20.3% dei casi, stando al report del Ministero della Sanità, relativo ai dati del 2020. Peggio riesce a fare solo la Calabria.
Dato che, insieme a quello che tratteggia la trama fittissima dell’obiezione di coscienza nei nostri ospedali, racconta le difficoltà delle donne a vedere tutelato un proprio diritto. A volte persino calpestato, come racconta l’esistenza dei “cimiteri degli angeli”, dove vengono sepolti i feti, anche senza il consenso delle donne che li hanno abortiti. Luoghi che esistono soltanto in Veneto e nelle Marche, ma che il senatore di FdI Luca De Carlo aveva proposto venissero realizzati anche nel resto d’Italia.
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