Padova sperimenta la riabilitazione dei pazienti Covid ancora intubati e in Terapia intensiva

Applicato un protocollo unico in Italia che cerca di prevenire o almeno limitare le conseguenze della malattia sulla postura, la muscolatura e i polmoni: eccom cosa prevede
22/09/2020 Bordeaux, ospedale Pellegrin, i pazienti affetti da Covid-19 in terapia intensiva, sono seguiti dall'unità di rianimazione
22/09/2020 Bordeaux, ospedale Pellegrin, i pazienti affetti da Covid-19 in terapia intensiva, sono seguiti dall'unità di rianimazione

PADOVA. Chiunque, in forma lieve o più severa, abbia conosciuto il coronavirus sulla sua pelle, sa che nel programma terapeutico un ruolo determinante è riservato alla riabilitazione. Trattamenti a cui i pazienti vengono sottoposti sia durante il ricovero - anche nella fase più acuta in Terapia intensiva - sia successivamente, dopo le dimissioni.

C’è infatti una percentuale di pazienti Covid che, una volta guariti, riporta conseguenze sulla postura, la muscolatura e i polmoni che possono richiedere percorsi riabilitativi di mesi e anche anni. A Padova il ruolo determinante della riabilitazione nei pazienti colpiti dall’infezione da Sars-Cov2 è stato colto sin dagli esordi dell’emergenza.

Un ulteriore tassello dell’approccio multidisciplinare al paziente Covid che ha visto in questo ambito in prima linea il professor Stefano Masiero, direttore dell’Unità complessa di Riabilitazione ortopedica dell’Azienda ospedaliera universitaria e direttore della Scuola di specializzazione in Medicina fisica e riabilitativa dell’Università di Padova

Stefano Masiero, direttore dell’Unità complessa di Riabilitazione ortopedica dell’Azienda ospedaliera universitaria
Stefano Masiero, direttore dell’Unità complessa di Riabilitazione ortopedica dell’Azienda ospedaliera universitaria

Professor Masiero, come si inserisce la riabilitazione nel programma terapeutico del paziente affetto da Covid 19?

«L’intervento riabilitativo supporta sia i pazienti che si trovano nella fase acuta dell’infezione, in Rianimazione, sia quelli ricoverati agli Infettivi o in Fisiopatologia respiratoria. Ma continua anche dopo, nei pazienti dimessi, dal momento che per molti ci sono esiti tutt’altro che trascurabili, anche disabilitanti a lungo termine».

Che tipo di conseguenze può avere un paziente Covid da questo punto di vista?

«Le conseguenze differiscono a seconda della fase in cui è progredita l’infezione. In fase acuta, per esempio, il paziente rimane per lunghi periodi allettato in posizione prona, a pancia in giù, questo ha conseguenze importanti sulla postura e la muscolatura. Si va incontro alla cosiddetta sindrome da decondizionamento fisico, con perdita di funzionalità e stanchezza. A ciò si aggiungono i problemi tipici dell’infezione da Covid sull’apparato respiratorio, sui polmoni quindi. Ma abbiamo visto che vengono colpiti anche reni e fegato. Spesso c’è una insufficienza respiratoria una volta rimessi in piedi, il soggetto accusa grande affaticamento. Per chi è stato intubato, poi, possono manifestarsi problemi nella deglutizione e neuropatie periferiche».

Quanto dura il percorso riabilitativo?

«La riabilitazione può richiedere settimane, mesi ma anche anni. C’è una percentuale fino al 15% di pazienti che riporta conseguenze a lungo termine della malattia».

Come si svolge la seduta riabilitativa?

«Si tratta sempre di programmi personalizzati. In fase acuta la seduta è molto breve, di 10 o 15 minuti al massimo tre volte al giorno. Poi si può arrivare a mezzora fino a un’ora. Qui a Padova applichiamo in fase acuta un protocollo unico in Italia - poi condiviso con altri ospedali del Veneto - con esercizi di mobilizzazione del paziente già a partire dal primo o secondo giorno in cui si trova in Rianimazione, anche intubato. Una pratica che abbiamo messo a punto insieme ai responsabili delle Terapie intensive, il professor Paolo Navalesi e il dottor Ivo Tiberio e i dati sugli esiti confermano della bontà dell’intuizione».

Come si riprendere una normale attività motoria dopo il Covid 19?

«È fondamentale farlo molto gradualmente specie nel post acuto. Spesso il paziente soffre di dispnea, quindi una respirazione difficoltosa, si avverte “fame d’aria”, l’approccio deve essere quindi progressivo».

Uno sportivo risente meno di questi effetti negativi?

«Sui polmoni non c’è differenza, l’esito del Covid non cambia. Sulla muscolatura a livello di percezione si può dire che chi è più allenato riesca a recuperare più in fretta, anche se ci sono molti esempi che contraddicono questo esito. Non ci sono studi validati ancora. Certamente un fisico debole ne risente maggiormente. Il maggior numero di decessi è di pazienti che avevano già un tumore, quindi già con un decondizionamento generale perché il tumore rallenta l’attività e riduce la resistenza».

Cosa si aspetta dalla stagione che avanza?

«Dal punto di vista riabilitativo, temo che molte persone, pazienti con ictus o malattie reumatiche, per paura non vadano più nei centri di riabilitazione con un conseguente peggioramento della disabilità. I casi complessi di Covid sembrano percentualmente minori, ci sono nuove terapie, i medici sono più preparati e lo stesso paziente è più sensibilizzato e arriva prima in ospedale».

Come vi state attrezzando?

«Dovremo sempre di più cogliere l’opportunità indirizzando interventi in tele-riabilitazione e riabilitazione domiciliare. Abbiamo già messo a punto alcune modalità per far vedere gli esercizi da fare a casa sfruttando le nuove tecnologie. Stiamo sviluppando un programma grazie a un piccolo finanziamento che andrà implementato anche con personale dedicato». —

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