Pagare con la vita il coraggio di dire: «Ti lascio»

Eleonora, Roberta, Elena, Luana: il cimitero delle donne uccise da un’ossessione spacciata per amore
Di Anna Sandri
Prandi Montebelluna omicidio suicidio
Prandi Montebelluna omicidio suicidio

PADOVA. Nel cimitero delle donne che hanno pagato con la vita la forza di chiudere una relazione arrivata alla fine, le croci si stagliano nitide, conficcate nella memoria. Portano incisi volti, nomi, storie di vite così normali che ognuna di loro potrebbe essere stata nostra figlia, sorella, amica. Invisibile, le unisce il filo di un’ossessione scambiata per amore. Lo hanno chiamato femminicidio, si immagina che stia per eccidio di femmine ed è un termine davvero brutto, dolciastro e denso come il sangue; ma un nome migliore non cambierebbe la realtà di vite perdute a una svolta dannata: se solo non lo avessero mai incontrato.

Eleonora Noventa il suo carnefice lo aveva conosciuto portando a passeggiare il cagnolino ad Asseggiano, fuori Mestre. Aveva 16 anni. Lui, Fabio Riccato, 30: un analfabeta affettivo, che una ragazza non l’aveva avuta mai. Erano usciti insieme per qualche mese. Eleonora ci aveva messo poco a capire che non era storia. Un sabato di luglio, aveva chiuso definitivamente la porta. Era mezzanotte. Meno di 12 ore dopo, era morta: crivellata di colpi a duecento metri da casa. L’ultimo l’assassino se l’era sparato in testa.

Era il 2010. Mentre il sole di quella domenica asciugava il sangue di Eleonora sull’asfalto, una donna era passata in fianco alle pattuglie dei carabinieri, alle prime telecamere arrivate sul posto. Si chiama Gina Vanin, stava tornando dall’obitorio. Aveva appena accomodato un foulard al collo di sua figlia, e le aveva sistemato meglio i leggeri guanti, perché non si vedessero i segni delle ferite. Cinque giorni prima, Roberta Vanin, 44 anni, era stata uccisa dietro il banco del suo negozio di erborista, a Spinea, dal suo ex, Andrea Donaglio. Lui l’aveva tradita, lei lo aveva lasciato ma lui la rivoleva: 60 coltellate.

Su una croce è inciso il nome di Elena Fioroni, 31 anni, morta nella vasca da bagno della sua casa a Padova: voleva lasciare il marito Gianluca Cappuzzo, diabolico nel convertire le sue competenze di medico per sedarla e poi avvelenarla, mentre i due figli dormivano nella stanza a fianco.

Luana Bussolotto aveva 27 anni e con Luca Badoere la storia era chiusa. Lei di Cinto Euganeo, lui di Stanghella; per cominciare una vita nuova si era trasferita in un appartamento a Noventa Vicentina. Lui l’aveva raggiunta il pomeriggio di Pasqua, con la scusa degli auguri, e l’aveva soffocata con un sacchetto.

Francesca Coltri nel maggio del 2003 aveva detto sì al suo assassino: ma il matrimonio non ci aveva messo molto a mostrare tutte le sue crepe. In ottobre lei aveva deciso di lasciarlo. Marco Lazzaretto l’ha uccisa, sul divano di casa a, Padova, poi si è steso sul letto matrimoniale e si è sparato. Doveva essere sua: e se non sua, allora di nessuno. Come Chiara Bernardi, uccisa nel 2008 a colpi di fucile a Conselve, dall’uomo al quale era stata legata per due anni, dal quale aveva avuto una figlia. Lo aveva lasciato da venti giorni e lui era entrato in ufficio, aveva affrontato un collega di Chiara, «sei tu, l’amante?», aveva ferito lui e freddato lei.

Quindici anni di matrimonio possono non bastare a capire con chi davvero dividi la tua vita: Laura Forcellini, a Sedico, i suoi anni li ha finiti sul letto di casa che assorbiva il suo sangue, offesa dalle coltellate del marito Giuseppe Canzian, folle di gelosia. Lui, l’avevano ritrovato in fondo al lago del Mis a Sospirolo.

Mia o di nessun altro doveva essere Erica Ferazza, 26 anni, per Paolo Rao, 30 anni: tanto da andare a casa di lei, dove c’era anche la bimba piccola, e massacrarla a coltellate mentre lei implorava pietà.

Ma non c’è pietà per le donne sepolte in questo cimitero, così come non c’è stata pietà per Lucia Manca, la bancaria di Marcon sparita nel cuore di un’estate. Il marito Gianni Dekleva, condannato a vent’anni, incrociava le braccia: «So che tornerà». Ipotesi ardita, visto che era morta e il suo corpo era stato buttato giù da un ponte lungo un’autostrada. Stanca di tradimenti, voleva mandarlo fuori di casa.

A volte, le donne sopravvivono: ce l’ha fatta Matilde Ardia, che il marito Andrea Loro, a Loria di Treviso, voleva carbonizzare dentro un’auto cosparsa di benzina. Matilde: colpevole di avere un lavoro interessante, di uscire a cena con i colleghi, di non lavare al marito le divise da calcetto.

Lo hanno chiamato femminicidio, ed è un termine davvero brutto. Da solo comunque non basta a spiegare la vigliaccheria di chi fa pagare ad altri il proprio fallimento e la propria incapacità di voltare pagina, o la totale mancanza di rispetto delle scelte altrui che sarebbe il capitolo primo dell’amore, quella cosa di cui tanto delirano questi assassini, senza sapere nemmeno cos’è.

E l’ossessione allora può assumere anche il volto di una ragazzina, come era Elena Zuliani, studentessa universitaria trevigiana, vent’anni appena quando nel 1999 uccise il suo ex compagno di liceo Andrea Zanatta. Erano stati assieme, lui l’aveva lasciata, lei non si rassegnava: l’aveva convinto a un ultimo incontro, lui era passato a prenderla in auto. Mio, o di nessun’altra. Li avevano trovati il mattino dopo: lei gli aveva sparato sei colpi a bruciapelo, e l’ultimo lo aveva tenuto per sé.

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