«Perdiamo un uomo nobile e una figura universale»

«La figura di Gino Strada ha a che fare con la nostra civiltà. Non è leggibile solo in chiave politica o semplicemente civile. La sua è stata una missione universale, alta. Che non può andare oggi ridotta ai nostri ricordi personali o a qualche aspetto parziale della sua figura. Una perdita grave. Non solo per noi che gli eravamo amici ma, ripeto, per la nostra civiltà».
Massimo Cacciari trattiene la commozione e scandisce le parole. Il suo legame con il fondatore di Emergency è antico. Stretto ancor di più negli anni recenti in cui Gino e la moglie Teresa avevano scelto di prender casa in affitto a Venezia e di aprire qui la sede operativa dell’associazione umanitaria. E il filosofo era sindaco della città che li aveva accolti. Insieme a Mara Rumiz, assessora diventata poi responsabile operativa di Emergency per gli ospedali nel Terzo Mondo, Cacciari ha lavorato a lungo con il chirurgo. Che di lui aveva la stessa visione lucida e la grande umanità. Insieme a qualche atteggiamento brusco che a volte ne nascondeva il sorriso.
«È una perdita grande per tutti noi, per la nostra civiltà», dice il filosofo, «ammesso che questi concetti abbiano ancora un senso per l’umanità. Gino era un filantropo. Non sentimentale, non patetico. Nel senso più nobile del termine. Quello che fa l’azione per il prossimo. Non predica il bene, lo agisce e lo pratica senza tornaconti».
Un medico che ha dedicato la sua vita agli ultimi.
«Era un medico nel senso più profondo e nobile del termine, ippocratiano. Colui che cura il prossimo chiunque esso sia e comunque si presenti. Che lo fa in modo disinteressato. Diceva che tutti hanno diritto a essere curati. E ad avere ospedali di alto livello. Insomma un pezzo della nostra civiltà migliore».
Che significa la sua “universalità”?
«Che Gino Strada va visto e ricordato in questa dimensione superiore. Una figura universale. Più di qualunque altra, pur importante, che abbiamo dovuto piangere in questi mesi. Più di ogni politico, intellettuale... Nessuno più di lui ha agito nel mondo con questa universalità. Questo, ripeto, dà il senso della civiltà e della grandezza dell’uomo».
Lei lo ha conosciuto bene.
«Sì. E noi che lo abbiamo visto da vicino, che gli siamo stati amici, rischiamo che la sua figura venga coperta dal ricordo, ridotta a una dimensione locale e particolare che non è. Perché il suo posto è un altro».
Il suo legame con Venezia era grande.
«Ma certo... Un legame straordinario. Era un luogo che lui amava. Dove aveva trovato degli amici che condividevano le sue istanze. Tra noi si era instaurato un legame di amicizia molto forte, cercavamo di collaborare il più possibile. E l’ambiente che lui aveva trovato era un ambiente ideale. Dove si faceva di tutto perché il suoi progetti umanitari andassero avanti».
I concerti in Piazza San Marco per raccogliere fondi. E poi i dibattiti, l’apertura della grande sede di Emergency alla Giudecca...
«Si sono fatte cose importanti. Siamo andati avanti per molti anni, finché il clima politico lo ha permesso. Gino ci metteva il cuore e tutto se stesso. Un impegno universale che rimarrà grande. E travalica ogni altro discorso». —
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