Pietre del Mose, 61 milioni da rimborsare

Prezzi gonfiati sul materiale per dighe e fondazioni, la procura di Corte dei Conti mette in “mora” una trentina di persone | TANGENTI MOSE: LO SPECIALE
Agostini Interpress Venezia, 09.06.2010.- Visita al cantiere Mose.- Nella foto da sx Mazzacurati, Luca Zaia, Chisso e Cuccioletta.-
Agostini Interpress Venezia, 09.06.2010.- Visita al cantiere Mose.- Nella foto da sx Mazzacurati, Luca Zaia, Chisso e Cuccioletta.-

VENEZIA. I sassi del Mose a prezzi gonfiati. Milioni di metri cubi di pietre per dighe e fondazioni. Milioni di euro messi in conto allo Stato per un materiale che ne valeva meno. Nuove clamorose novità sull’infinita storia del Mose. La Procura della Corte dei Conti del Veneto ha scoperto un nuovo filone che potrebbe portare lontano.

Venezia, 01.04.2006.- Cantiere MOSE a San Nicolò, Muro in sassi che divide la spiaggia alla diga.- Interpress/Vitucci
Venezia, 01.04.2006.- Cantiere MOSE a San Nicolò, Muro in sassi che divide la spiaggia alla diga.- Interpress/Vitucci

Dopo anni di lavoro da parte della Guardia di Finanza, il rapporto finale è arrivato sul tavolo del magistrato Alberto Mingarelli. Che ha inviato in questi giorni una trentina di provvedimenti di «messa in mora» ad altrettanti protagonisti della salvaguardia degli ultimi anni. Gli ex presidenti del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva e Patrizio Cuccioletta, l’ex vicepresidente Giampietro Mayerle, il responsabile della salvaguardia Alfredo Caielli, i funzionari Cinzia Zincone e Valerio Volpe. E poi l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati e altri dirigenti del Consorzio. L’ipotesi di accusa è quella di danno erariale. 61 milioni di euro di maggiori costi che sarebbero stati addebitati allo Stato approvando progetti e richieste del Consorzio. Perizie e pareri del Comitato tecnico di magistratura, l’organismo del Magistrato alle Acque già finito nel mirino della Procura veneziana per lo scandalo Mose.

Il sistema funzionava in modo abbastanza semplice. I progetti per le opere di salvaguardia devono avere il parere favorevole del Ctm - composto di una quarantina di dirigenti e funzionari delle Infrastrutture più esperti esterni - presieduto in genere dal vicepresidente. In quella sede si approvano anche i finanziamenti. L’accusa, che ancora deve essere definita nei dettagli a carico delle singole persone, è quella di aver in qualche modo fornito una situazione del valore delle pietre diversa dalla realtà. Fatte le somme, il dislavore assomma appunto a 61 milioni di euro. Cifra che gli imputati potranno essere chiamati a restituire se verrà accertato il danno erariale. Inchiesta ancora ai primi passi. L’atto di messa in mora ha lo scopo anche di interrompere i termini, avvisare gli indagati ed evitare la possibile prescrizione del reato. Un nuovo filone di indagine, dunque, su cui sta lavorando a livello penale anche la Procura. La Finanza ha avviato accertamenti sulle cave di pietre in Istria, da dove sono stati prelevati milioni di metri cubi di pietrame utilizzato per le fondazioni delle lunate, il rinforzo dei litorali, le basi delle infrastrutture del Mose. Viaggi ripetuti dalle cave alla laguna. Conti che non tornavano. E la conferma di come la gestione della salvaguardia si a trasformata in un grande affare.

Al Consorzio Venezia Nuova, che ha lavorato in regime di monopolio per trent’anni, andavano introiti senza controlli. Prezzi maggiorati per la mancanza di concorrenza, caricati del 12 per cento per gli «oneri del concessionario». Spese pazze che spesso poco avevano a che fare con la salvaguardia. E adesso la vicenda dei sassi. Quanti ne sono finiti in fondo alla laguna? Le bollette di trasporto corrispondevano con le quantità dichiarate? E i prezzi erano congrui? Tutte domande a cui gli investigatori cercano ora di dare risposta.

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