Piste, nuove responsabilità per i sindaci: dovranno anche "prevenire" le valanghe

La direttiva della presidenza del Consiglio dell’agosto scorso consegna agli amministratori locali l’incarico di chiudere i tracciati. I sindaci si ribellano: "Non è nostra competenza". Anef: "E' materia degli impiantisti"

BELLUNO. Un’altra tegola sta per abbattersi sui sindaci bellunesi che sono sconcertati e minacciano di lasciare gli incarichi se la novità diventerà realtà. Il problema nasce dalla direttiva del presidente del Consiglio dei ministri pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 231 il 2 ottobre, meglio conosciuta come “direttiva valanghe”.

 

 


Il documento vuole fornire gli indirizzi operativi non solo per l’organizzazione del sistema di allerta regionale ma anche per la pianificazione delle azioni di protezione civile territoriale nell’ambito del rischio valanghe. Vuole cioè indicare chi deve agire e come, in caso di un rischio grave di valanga.

Alcuni soccorritori al lavoro dopo una slavina, in una immagine di archivio. Uno sciatore e' morto in Trentino e altri due si sono invece salvati in Alto Adige, in seguito a due distinte slavine, che li hanno travolti. La vittima stava sciando fuoripista a circa 2.000 m di quota con altre due persone sulla Paganella, nella zona Dosso Larici, tra due piste battute. Sono stati proprio altri sciatori, che erano sulle piste, a vedere i tre travolti dalla neve e a chiamare i soccorsi. Erano passate da poco le 11.30 e si sono precipitati sul posto un rianimatore, cani da valanga e il Soccorso alpino di Fai della Paganella. In dieci minuti si sono messi a scavare e due dei dispersi sono stati estratti illesi, mentre il terzo era ormai privo di vita. ..ANSA/MASSIMILIANO SCHIAZZA/DRN
Alcuni soccorritori al lavoro dopo una slavina, in una immagine di archivio. Uno sciatore e' morto in Trentino e altri due si sono invece salvati in Alto Adige, in seguito a due distinte slavine, che li hanno travolti. La vittima stava sciando fuoripista a circa 2.000 m di quota con altre due persone sulla Paganella, nella zona Dosso Larici, tra due piste battute. Sono stati proprio altri sciatori, che erano sulle piste, a vedere i tre travolti dalla neve e a chiamare i soccorsi. Erano passate da poco le 11.30 e si sono precipitati sul posto un rianimatore, cani da valanga e il Soccorso alpino di Fai della Paganella. In dieci minuti si sono messi a scavare e due dei dispersi sono stati estratti illesi, mentre il terzo era ormai privo di vita. ..ANSA/MASSIMILIANO SCHIAZZA/DRN


Il testo si compone di due allegati: uno relativo alle procedure in capo a Stato e Regioni, e l’altro relativo ai Comuni e alle Province. Fin qui tutto bene, se non fosse che per la prima volta questa direttiva introduce due elementi nuovi che sono destinati a cambiare la vita dei primi cittadini. Da un lato, infatti, nell’elenco delle aree antropizzate, quelle cioè dove c’è la presenza dell’uomo, introduce anche le piste da sci. Dall’altro incarica i sindaci di gestire le emergenze in queste aree. Insomma, con la direttiva 231 i primi cittadini dovranno decidere la chiusura delle piste da sci se c’è un pericolo imminente di slavina.

Il documento emesso dal presidente del Consiglio è molto chiaro: mentre per l’attività normale anti valanghe ci penseranno le società che gestiscono le are sciistiche, in caso di pericolo grave dovrà intervenire il sindaco.

I compiti dei Comuni

«La direttiva sul rischio valanghivo», precisa il dirigente della protezione civile regionale Soppelsa, «prevede che i comuni si dotino di un piano di protezione civile che agisca all’interno delle aree antropizzate, quali le strade, i trasporti pubblici, le aree urbanizzate (aree industriali, commerciali, residenziali) tra cui rientrano per la prima volta anche le aree sciistiche. I sindaci, nel caso ci siano reali rischi di caduta valanga, devono predisporre degli specifici piani per la chiusura anche delle piste. Il primo cittadino è l’autorità principale di protezione civile con competenza nella valutazione e gestione del rischio valanghivo», ricorda Soppelsa.

Così, mentre la normale vigilanza e la prevenzione da danni da valanga spettano ai gestori degli impianti, toccherà invece ai Comuni, coadiuvati dalla commissione locale valanghe, interventi urgenti per pericolo immediato per incolumità pubblica.

Praticamente i comuni, tramite i loro tecnici (quali non si sa) dovranno valutare le singole aree sciistiche qualora i bollettini della neve siano particolarmente critici, decidere se vi sia il rischio di caduta di una massa nevosa e quindi stabilire la chiusura della pista. Qualora i comuni non avessero al loro interno dei tecnici adeguatamente formati per comprendere il rischio valanghe, potranno chiedere l’aiuto di Provincia o Regione.

«Tutto questo dovrà avvenire entro quattro anni. Infatti», conclude Soppelsa, «mentre la Regione tramite la collaborazione con Arpav dovrà redigere e delimitare i siti valanghivi presenti in ogni territorio, entro due anni dall’entrata in vigore della direttiva, i sindaci avranno altri due anni per predisporre il loro piano di protezione civile che contempli le azioni da mettere in atto anche sulle aree sciistiche».

I SINDACI



La notizia dell’ennesima responsabilità in capo ai sindaci è stata comunicata dal referente per la protezione civile regionale, Luca Soppelsa agli amministratori bellunesi riuniti a Villa Patt per l’emergenza maltempo la settimana scorsa. E la cosa non è passata sotto silenzio.

«Credo che ai sindaci e al personale comunale manchino le competenze per dire se c’è un pericolo valanghe o meno su una pista da sci. Dobbiamo avere strumenti specifici per poter decidere la chiusura di un’area sciistica», commenta Camillo De Pellegrin, sindaco di Val di Zoldo, dove insistono le piste da sci del comprensorio del Civetta, tra i più frequentati durante il periodo invernale.

Non ci sta nemmeno Leandro Grones, primo cittadino di Livinallongo, nel cui comune c’è il comprensorio di Arabba. «Se dobbiamo decidere anche sulle piste da sci, allora portateci in sala operatoria che facciamo gli interventi chirurgici, visto che ormai, come amministratori locali, facciamo di tutto e di più».

Per Grones c’è un’incongruenza di fondo in questa direttiva valanghe. «Perché definire aree antropizzate anche le piste da sci? Allora, a mio parere, lo sono anche le rocce del Boè dove vanno gli scalatori, o i sentieri del Cai. Credo che una valutazione del rischio valanghivo e quindi della chiusura di una pista spetti a chi gestisce gli impianti di risalita, non certo ai sindaci che non hanno personale nemmeno per l’ordinaria attività, figurarsi per stabilire se cadrà o meno una valanga. A Roma si devono rendere conto che non possiamo fare tutto. Il mio territorio per tutto l’inverno, se va bene, è sempre in stato di preallarme, quindi cosa dovrei fare? Già per il dopo Vaia ho preparato un piano di protezione civile alto due centimetri, ora cosa devo fare? Cosa vogliono da noi sindaci?».

Per Danilo De Toni, alla guida di Alleghe, «è un’assurdità questa direttiva, la responsabilità di chiudere le piste non può essere scaricata sui primi cittadini. E poi se noi decidiamo in via cautelativa di chiudere e il gestore della pista ritiene che non ci sia il rischio, si va incontro a contenziosi non da poco. E poi a Roma non si lamentino se sempre meno le persone vogliono amministrare i comuni». (p.d.a.)



La notizia non ha lasciato indifferenti neppure gli amministratori che non hanno piste da sci o comprensori sciistici. Il primo a lamentarsi in modo palese di questa direttiva valanghe di nuova introduzione è il sindaco di Borca di Cadore, Bortolo Sala.

All’incontro della protezione civile della settimana scorsa a Villa Patt, infatti, il primo cittadino al sentire questa novità si è alzato e se n’è andato. «Non è possibile accettare supini quest’ennesimo impegno che ci viene assegnato. Dobbiamo andarcene, lasciare l’aula e protestare. Non possiamo rimanere inermi», dice Sala che non intende proprio accettare questa direttiva.

«Ho già abbastanza responsabilità come sindaco e non intendo averne altre. È una cosa inverosimile», continua Sala, «che si possa arrivare a tanto». I sindaci si chiedono perché non se ne occupa chi gestisce le piste. «Loro hanno personale debitamente formato per studiare i rischi valanga sul loro comprensorio. Mentre noi non abbiamo tecnici formati ad hoc».

«Io credo che chi va in montagna debba assumersi le proprie responsabilità. Questa cosa non l’accetterò mai. Io me ne sono andato quel giorno a Sedico perché non è possibile ascoltare una cosa del genere. E credo che non andrò più a questi incontri se si parla di queste cose», conclude Sala. Sulle novità statali in materia di rischio valanghivo sono in effetti pochi i sindaci che hanno avuto il tempo di prendere in mano la direttiva. «Ce la siamo stampata ma si tratta di molte pagine e piene di sigle. E tra le mille cose che dobbiamo fare, non abbiamo trovato ancora il tempo di leggerla. La burocrazia ci sta affossando».

GLI IMPIANTISTI



«I sindaci stiano tranquilli. Siamo già al lavoro per liberarli dalla “direttiva valanghe” e continuare, noi impiantisti, ad assumerci questa responsabilità».

Parola di Renzo Minella, presidente regionale dell’Anef, l’associazione degli impiantisti. «Rassicuro i pubblici amministratori - continua- sulla condivisione da parte di tutti gli impiantisti che la responsabilità della sicurezza in pista continui a ricadere sulle nostre società».

Il federalismo anti-valanghivo proprio non ci sarà, a sentire Minella. «Spiegheremo a chi di dovere ed in particolare alla Protezione civile – afferma – che noi siamo organizzati per garantire la massima sicurezza sulle piste, giorno dopo giorno, anzi ora dopo ora».

Solo il Consorzio Dolomiti Superski, disponendo di 1400 km di piste, ha centinaia di “responsabili della sicurezza” che ogni giorno verificano lo stato delle piste di riferimento e, in caso di pericolo valanghe, procedono alla chiusura. Accade non solo a Cortina, Arabba, Falcade, Alleghe, ma anche nelle stazioni più periferiche, da Croce d’Aune al Nevegal.

Si tratta di tecnici professionalizzati, tra l’altro pagati profumatamente dalle società per il servizio che svolgono. Tecnici che hanno superato tutta una serie di prove ed hanno ottenuto la massima certificazione europea in materia. Solo nell’area di Falcade-San Pellegrino ce ne sono una decina. E sono proprio loro a dare il via, al mattino, ad ogni singolo impianto, dopo l’analisi delle condizioni appunto di sicurezza.

«Comprendiamo la dura reazione dei sindaci, perché – rileva Minella – essi stessi dovrebbero farsi la certificazione o, in ogni caso, assumere del personale da professionalizzare per questi compiti. Personale che sta in pista, non in municipio. Ecco perché riteniamo che per questa strada non si possa andare lontano».

L’Anef prenderà contatti con la Protezione civile regionale e nazionale per modificare la direttiva. E se sarà il caso contatterà anche il Governo, parlandone anzitutto al ministro Federico D’Incà.

Il presidente Minella ricorda che ogni progetto di pista e di impianto è sottoposto ad una severa verifica anti-valanghiva. Per procedere bisogna passare – ricorda ancora – attraverso le autorizzazioni dell’Arpav e della Provincia. Poi, è vero, ci possono essere emergenze maltempo impreviste per cui le situazioni a rischio si creano all’improvviso. Ecco, perché, ogni mattina dev’essere il responsabile della sicurezza a dare il via. E lo fa compilando una puntuale scheda tecnica che sarà la prova della sua responsabilità, in caso di amare sorprese.

I sindaci? «Hanno ragione a ribellarsi, perché ognuno di loro ha cento incombenze, alcune davvero molto pesanti; si pensi solo alle strade. Quindi faremo in modo che il testo della direttiva venga cambiato e la responsabilità restituita alle società. Il nostro non è solo un auspicio, ma chiederemo che il nostro impegno sia formalizzato in una nuova direttiva» conclude Minella. —

La norma dello Stato, ancora una volta, fa differenza tra le Regioni ordinarie e quelle speciali, Province autonome comprese.

Potrebbe accadere, dunque, che – per esemplificare – all’interno del sistema Dolomiti Superski ci siano regolamenti diversi. In Veneto quelli legati alla Direttiva Valanghe, se dovesse essere confermata nell’attuale impianto che ha fatto arrabbiare i sindaci. Nello stesso tempo al di là del confine restano le attuali disposizioni delle Provincie autonome di Trento e di Bolzano. Autonome anche in questo caso, nel campo cioè della protezione civile.

E così ad Arabba sarà il sindaco di Livinallongo a prendersi in carico la sicurezza anti-valanghe, a Corvara le società impiantiste o comunque la commissione valanghe esistente.

Nelle disposizioni finali della Direttiva leggiamo infatti: «Per le Regioni a statuto speciale restano ferme le competenze a loro affidate dai relativi statuti. Per le Province autonome di Trento e Bolzano sono fatte salve le competenze riconosciute dallo statuto speciale e dalle relative norme di attuazione. In tale contesto le Regioni a statuto speciale e le Province autonome provvedono alle finalità della presente direttiva ai sensi dei relativi statuti speciali e delle relative norme di attuazione». Questo – affermano all’Anef – è un motivo in più per chiedere (ed ottenere) la modifica della Direttiva.

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