Porto Marghera e il fuoco: la grande paura per la Dow Chemical, le torce di sicurezza, Veritas in fiamme

VENEZIA. Spaventosi incendi industriali e le fiammate altissime delle torce del cracking, che “bruciano” il cielo quando è in corso un blocco nella linea di produzione.
Batte forte il cuore quando le fiamme appaiono a Porto Marghera per il grande rischio che comportano per la popolazione, sinora scampata al peggio grazie alla grandissima professionalità dei vigili del fuoco. Paura che cresce anche quando ad infiammarsi sono fiaccole degli scarichi di sicurezza industriali, in caso di blocco della produzione.
E’ accaduto a Porto Marghera come in altre realtà industriali del Veneto: emergenze che mettono sempre in grande allerta la popolazione, per il coinvolgimento di sostante chimiche, potenzialmente altamente tossiche.
Facciamo un viaggio tra gli allarmi-incendio del recente passato, che comprendono anche le inchieste dell'Antimafia per alcuni roghi che hanno interessato aziende che trattano rifiuti.

IL TERRORE DEL 2002: DOW CHEMICAL IN FIAMME
Era il 28 novembre 2002 quando venti tonnellate di gas di peci clorurate, toluene e toluendisocianato vennero disperse nell'aria, otto lavoratori finirono in pronto soccorso, si contarono 3 milioni di euro di danni e ore di terrore per la popolazione veneziana.
Questi i numeri dell'incidente (una forte esplosione seguita da un incendio) che mandò in briciole l'impianto Td5 di Dow Chemical di Porto Marghera. L’incidente più grave nella storia di Porto Marghera, come testimoniano le foto scioccanti dell’epoca, compresa quella dell’allora sindaco Paolo Costa con la maschera antigas.

Le alte fiamme si alzarono dal Petrolchimico per un incendio nell’impianto del Tdi già di Montedison ed Enichem, appena acquisito dalla multinazionale Dow Italia e dedicato alla produzione di toluendisocianato, una sostanza di base per la produzione di poliuretani. A quaranta metri dal luogo dell’incendio erano stoccate 15 tonnellate di fosgene, una sostanza chimica altamente tossica ed infiammabile, usata anche come arma nella Prima Guerra mondiale.
Per la prima volta, le sirene della Protezione Civile avvertirono del pericolo e alla popolazione atterrita venne consigliato su radio e televisioni di restare chiusa in casa, mentre i centralini dei servizi pubblici di sicurezza venivano subissati di richieste di informazione. Allora come oggi, nel caso del rogo che ha distrutto la 3V Sigma.
L’incendio alla fine fu domato dai vigili del fuoco, evitando che si propagasse anche al deposito di fosgene: quattro anni dopo Dow Chemical decise di chiudere definitivamente i vecchi, pericolosi e ormai poco redditizi impianti del Tdi.
IL ROGO DELL’IMPIANTO VERITAS
Il 7 giugno del 2017 un’immensa nube nera si levò alta su Fusina: ad andare completamente distrutta fu la linea di trattamento rifiuti ingombranti dell’inceneritore, allora appena inaugurata da Ecoricicli Veritas.
Due operai rimasero leggermente intossicati nel corso dell’incidente, il cielo divenne nero di fumo acre.
Il processo per individuare eventuali responsabilità è ancora in corso, con a giudizio i vertici di Ecoricicli: i consulenti dell’azienda sostengono si sia trattato di un incendio doloso ai danni della società, la Procura che non tutte le norme di sicurezza siano state adottate. Il Tribunale ha disposto una nuova perizia.
Anche allora ci fu polemica per la pericolosità dell’area industriale circostante.
«Poteva essere una tragedia. Questo incendio dimostra che certi impianti, in quest’area, non dovrebbero esistere: si è sviluppato fra una raffineria come la San Marco Petroli, che è a due passi dal centro di Malcontenta, e la Decal che stipa gas liquefatto criogenico. Per ore si è diffuso un fumo nerastro», dichiarò allora Antony Candiello, presidente dell’Assemblea permanente contro il rischio chimico di Marghera, comitato nato proprio dopo il rogo del 2002.

LE TORCE DEL CRACKING
Nel luglio del 2019 per due volte in pochi giorni si levarono fiamme alte fino a cento metri dalle torce del cracking dell’impianto Versalis di Porto Marghera. Non era certo la prima volta, ma l’impatto del processo di sicurezza - che si attiva quando ci sono problemi lungo la linea di produzione, per bruciarne i residui - fu in questo caso molto impressionante, visibile anche da decine di chilometri di distanza.
Molti si allarmarono, per quelle torce infiammate per ore e ore.
«Sono un segnale che in caso di malfunzionamenti di un impianto così complesso la sicurezza di lavoratori e cittadini è garantita», aveva spiegato nell’occasione il direttore dello stabilimento di Versalis di Porto Marghera, Dante Viale, «il cracking è un impianto complesso e quindi episodi di malfuzionamento possono accadere. Quelli dell’ultimo periodo non hanno, comunque, cause comuni. Ultimamente c’è stata una frequenza più elevata di questi episodi ma si tratta solo di un fatto statistico, vale a dire che non sono connessi a cattive modalità di gestione e di operatività di impianti. Si tratta di episodi che possono durare una o due ore o trenta, come a luglio. Ore necessarie per il ripristino, in sicurezza, delle condizioni operative dell’impianto. L’attivazione delle torce garantisce, in primo luogo, la sicurezza sia dei lavoratori che della popolazione. Il pericolo vero, infatti, ci sarebbe se le torce non si attivassero. Per capirci è come quando siamo in auto e dobbiamo frenare per evitare uno scontro. Con le torce è la stessa cosa, si accendono automaticamente quando ci sono variazioni dei parametri del processo produttivo».
PRINCIPIO D’INCENDIO ALL’ENI
Del 21 marzo 2020 l’ultimo allarme, prima del disastroso rogo alla 3V, con un principio di incendio alla raffineria Eni di Porto Marghera. Stando a quanto comunicato dall’azienda al Comune, secondo il protocollo, il principio di incendio si è verificato nell’area lavaggio delle attrezzature dello stabilimento, poco dopo mezzogiorno. In fiamme del materiale di scarto. In questo caso non danni a persone o cose. «L’episodio è stato circoscritto e gestito con la squadra interna di pronto intervento», si sottolinea nella comunicazione dell’azienda al Comune. All’intervento hanno partecipato anche i vigili del fuoco di Mestre.
E sin qui gli incendi nell’area di Porto Marghera. Ma non sono i soli.
SEI ROGHI SOSPETTI NEI CENTRI RACCOLTA RIFIUTI NEL VENETO
Già nel 2017 la Commissione Ecomafi e quella Ambiente puntarono l’attenzione sul Veneto, per almeno 6 incendi sui quali indagano le Procure di Venezia e Treviso.
La prova del dolo non è quasi mai stata trovata, ma che qualcosa non torni nella frequenza dei roghi nei centri di trattamento lo pensano in molti. A partire dalla Prefettura che da qualche anno segnala alla Direzione distrettuale antimafia di Venezia tutti gli incendi che coinvolgono aziende che si occupano di rifiuti.
Il 18 agosto 2017 le fiamme hanno distrutto l’azienda Vidori, di Vidor, specializzata nel trattamento di rifiuti pericolosi. In questo caso il dolo è stato dimostrato: tre punti di innesco trovati dalle indagini e un mix di solventi usato come accelerante.
Il 26 settembre del 2015 era stata la volta della Ceccato Recycling di Castelfranco, specializzata nel recupero di rifiuti da carta, legno, plastiche e lavorazioni industriali. In questo caso le indagini non hanno portato ad individuare la causa del rogo, e la procura ha archiviato.
Stessa sorte per l’indagine sull’incendio che ha distrutto sette camion della Veritas a Mogliano a settembre del 2016. Un paio di mesi prima invece a fuoco era andato il Centro Risorse di Motta, l'incendio aveva interessato un'area di stoccaggio coperta da tettoia in cui erano depositati rifiuti liquidi, rifiuti contenenti amianto inertizzati e polveri di metalli.
Febbraio 2014, a San Biagio di Callalta un incendio brucia la Bigaran servizi ambientali, azienda che si occupa di trattamento e recupero di rifiuti. Pochi giorni dopo un altro rogo chiude la partita distruggendo cinque camion della ditta. La procura di Treviso aprì un’inchiesta, poi trasferita alla Direzione distrettuale antimafia di Venezia essendo stati rilevati “profili di connessione con la vicenda relativa ad analogo reato posto in essere ai danni della ditta Ramni di Pianiga già oggetto di indagini” da parte della Dda.
(con i contributi dei giornalisti Alessandro Abbadir, Roberta De Rossi, Federico Cipolla, Gianni Favarato, Francesco Furlan)
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