Riaprono i Bar Bianco, il colosso veneto Lattebusche prova la riscossa

VITTORIO VENETO. L’emergenza coronavirus ha imposto anche a Lattebusche, colosso alimentare con filiali e punti vendita in tutte le province del Veneto, di ridisegnare il profilo del suo fatturato. Crolla il canale Horeca, a causa della chiusura generalizzata, fino ad oggi, di hotel, ristoranti, bar, caffetterie, mense; crescono le vendite nella grande distribuzione e nei piccoli negozi di prossimità; calano quelle nei Bar Bianco, che hanno perso per due mesi i proventi dall’attività di bar. «Le conseguenze della pandemia si sono fatte sentire», spiega il direttore generale Antonio Bortoli, «soprattutto in un mercato complesso e volatile come è quello del latte e dei suoi derivati. Abbiamo fatto un importante Cda, finalmente in presenza, dopo aver dovuto lavorare a lungo solo on line, a dimostrazione che la situazione pian piano si va normalizzando. Così come il traffico stradale, che mi sembra già tornato ai ritmi pre-crisi. Altro segnale importante di ripartenza».
Cosa avete deciso?
«Da giugno pagheremo un acconto ai nostri soci produttori di 36 centesimi + qualità + Iva, rispetto ai 38 centesimi pagati a maggio. È una limatura assai contenuta, ma imposta dall’andamento del mercato e non più procrastinabile. Va sottolineato, comunque, che l’acconto deciso giovedì è già superiore alla media regionale; e che la qualità sfiora, in questi mesi, i 3 centesimi in più a litro».

Quali sono le quotazioni quotidiane attuali del latte spot?
«C’è stato un vero e proprio crollo del latte spot, sia italiano che di provenienza francese, austriaca o tedesca, in media dai 40 ai 30 centesimi al litro. Come del resto anche il valore del latte alla stalla ha subito un forte ridimensionamento. Noi siamo riusciti finora a contenere questo calo, anche grazie alla qualità del nostro latte. Il latte ed i prodotti a nostro marchio, infatti, provengono al 50% dai Comuni del Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi. Inoltre tutto il nostro latte proviene dalle stalle dei nostri 368 soci ed è soggetto a filiere certificate a seconda delle Dop cui appartengono».
Le grandi Dop trainano il mercato: Grana Padano e Parmigiano Reggiano. Come sta andando?
«La produzione di latte, in alcuni mesi a livello nazionale, ha superato anche il 3/4%; questo ha favorito un incremento della produzione del Reggiano e del Padano, che inevitabilmente però si è riflesso sul crollo dei prezzi di mercato. Prendiamo il Grana Padano che rientra fra i nostri prodotti: +4% della produzione, -10% delle vendite ipotizzabile su base annua a causa del Covid-19, con tutto quello che ne consegue: solo per l’estero si parla di 200 mila forme di Grana vendute in meno. Ciò significa che avremo sul mercato 400/500 mila forme in più (nel 2019 ne sono state prodotte 5.190.000) con un crollo medio dei prezzi di 1,5/2 euro al kg, ovvero da 8 a 6 euro. E gran parte del latte italiano, come si diceva, è legato all’andamento di Grana e Reggiano».

Torniamo a Lattebusche: è un miraggio replicare il fatturato record del 2019, che aveva superato i 110 milioni di euro?
«Sarà assai difficile. Il mercato, con l’emergenza coronavirus, è diventato ancora più complesso. Noi in questi due mesi abbiamo sempre lavorato nei nostri sei centri produttivi: a Busche e Padola in provincia di Belluno, a Chioggia (Venezia), Sandrigo (Vicenza), Camazzole di Carmignano di Brenta e San Pietro in Gu (Padova). Non abbiamo richiesto la cassa integrazione, anche perché abbiamo spostato in produzione il personale in esubero nei Bar Bianco; abbiamo dovuto però sostenere ingenti costi, aggiuntivi e non preventivabili, per tenere le aziende aperte, con una serie di misure per garantire la massima sicurezza».
Con il lockdown inoltre è andato completamente perduto il fatturato del canale Horeca.
«Sì, un settore che per noi vale il 10% circa della rete vendita, ovvero 5,5 milioni di euro. Il resto della nostra rete è costituito dalla grande distribuzione e dai negozi tradizionali. Completiamo il fatturato con i Bar Bianco (circa 12 milioni di euro) e con la nostra partecipata Agriform, di cui deteniamo il 40% del capitale e che cura la commercializzazione all’estero».
Le restrizioni hanno influito anche sui Bar Bianco.
«Sì, in maniera consistente, soprattutto sui tre maggiori: Busche, Sandrigo e Rovolon. Dapprima abbiamo dovuto chiudere l’attività di bar; poi l’impossibilità di muoversi fuori dal comune di residenza ha fatto crollare gli affari in particolare a Busche (5 milioni di fatturato nel 2019, ndr ), tradizionalmente meta dei tanti turisti che dalla pianura si spostano verso la montagna. Adesso comunque il movimento è ripreso, pur con tutte le limitazioni ancora necessarie per la sicurezza. Basta vedere le code che si creano al Bar Bianco di Busche».
E la grande distribuzione?
«Le statistiche ci dicevano che sui 14 pasti che le persone nella fascia 30/50 anni sono solite fare alla settimana, ben 9 venivano consumati fuori casa, presso ristoranti, bar, mense; con l’emergenza coronavirus siamo passati a 14 pasti su 14 a casa; quindi è chiaro che la gente si è riversata a fare la spesa, sia nella grande distribuzione che nel piccolo negozio sotto casa. E questo ci ha consentito di riequilibrare le nostre vendite con questi canali».
Previsioni?
«Difficile dire cosa farà la gente e come si muoverà il mercato. C’è una serie di variabili che non consentono di fare previsioni sicure. Saranno importanti le decisioni “emergenziali” dei Consorzi di tutela che trasformano gran parte del latte italiano. Noi siamo prudenti, ma positivi, abituati a stare sul mercato ed a coglierne ogni più piccolo movimento; ed abbiamo prodotti di qualità».
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova