Riecco l’isola in mezzo al lago di Fedaia: quando la diga si svuota ricompare l’atollo

L’Enel: «Nessun rischi, quell’acqua viene impiegata per alimentare il sistema idrico del Veneto a fini irrigui»
Francesco Dal Mas

BELLUNO. Riecco l’isola in mezzo al lago di Fedaia. Di solito è coperta dall’acqua. Ma quando la diga si svuota – ad oggi di circa 16 metri – ricompare quell’atollo. Sul versante del Trentino, piuttosto che del Veneto.

Il prosciugamento dipende dal pericolo che si stacchi una parete di ghiaccio dalla Marmolada? La paura si era palesata qualche giorno fa, quando le massime persistevano oltre i 10 gradi e lo zero termico rimaneva sopra i 4 mila metri, cioè circa un migliaio più dell’altitudine della montagna. Adesso fa freddo, soprattutto di notte. E l’Enel conferma: «A partire da inizio giugno, l’acqua del lago di Fedaia viene impiegata per alimentare il sistema idrico del Veneto a fini irrigui, alla luce dello straordinario periodo siccitoso».

Un mese fa, come mercoledì prossimo, la tragedia della Marmolada, con 11 morti. Dopo una prima ordinanza di chiusura del ghiacciaio, il sindaco di Canazei, Giovanni Bernard, ha rinnovato questa disposizione, ampliandola. A seguito dell’individuazione di un crepaccio poco sotto le cresce, lungo 200 metri, con uno spessore tra i 25 e i 35 centimetri, il sindaco ha fatto chiudere due rifugi, il Ghiacciaio e il Cima 11 (oltre capanna Punta Penia, disattivata in precedenza) ed ha sbarrato la strada a valle della diga. Il timore era che da quel cratere potesse staccarsi una calotta di circa 3 milioni di metri cubi e che finisse nel lago.

Anche per questo motivo – così afferma, ad esempio, Aurelio Soraruf, gestore dell’Albergo Castiglioni – si è accelerato il deflusso dal lago.

«Tutti a temere un “effetto Vajont”, ma io che vivo e lavoro quassù, non ho nessun timore di questo tipo perché – spiega ancora Soraruf – può contenere la massa ipotizzata. Ma di più: non siamo più nelle condizioni di collasso da temperature come una decina di giorni fa». Ed in effetti anche il sindaco di Canazei ha assicurato: «Nessun rischio per la sicurezza di cittadini ed ospiti».

Il “guardiano delle dighe”, Attilio Bressan, che abita a Malga Ciapela, conferma che da sempre l’Enel utilizza l’acqua del Fedaia, in gran parte sul territorio di Trento, per dissetare la pianura veneta. Solo un rigagnolo finisce sull’Avisio, ovvero il deflusso minimo vitale. La diga conteneva 17 milioni di metri cubi d’acqua, con l’inghiaiamento scende sotto i 16 milioni.

È avventuroso il percorso delle acque della Marmolada che arrivano al Trevigiano e vanno oltre. Partono dal Fedaia e percorrono una galleria di 4 chilometri, poi scendono in picchiata per 700 metri, quindi intubate, nella centrale di Malga Ciapela. Qui non vengono dirottate lungo il rio Pettorina ma obbligate in una condotta che si abbassa fino a raggiungere la centrale di Saviner di Laste. Lasciate libere, raggiungono il lago di Alleghe.

Altra centrale e altra condotta fino all’impianto idroelettrico di Cencenighe. Raccolto l’apporto del torrente Biois, il deflusso si fionda sulla centrale di Agordo. Le acque, di nuovo in condotta, proseguono la discesa sino all’impianto di Stanga. Di nuovo in condotta, attraversano in sotterranea il Cordevole, e finiscono nel lago del Mise, alimentando quest’altra centrale. Da qui alla struttura di produzione idroelettriche di Busche il passo è breve. Altra condotta fino a Quero, per dare acqua ad un nuovo impianto di energia. Intanto il Piave vive sul deflusso minimo vitale. Arriviamo all’altezza del Montello e a questo punto iniziano le captazioni dei Consorzi di bonifica.

Parlando del lago o della diga di Fedaia, resta da precisare che si tratta in realtà di due bacini, uno artificiale e uno naturale. Nel 1956 furono separati da una diga gestita dall’Enel che – come ricorda Bressan – solitamente viene svuotata tra l’autunno e la primavera, mentre in estate viene riempita dall’acqua dello scioglimento delle nevi di copertura del ghiacciaio. Quest’estate, però, è stata pesante l’ablazione dello stesso ghiacciaio, come ammette uno dei più accreditati studiosi di questa montagna, Mauro Valt dell’Arpa di Arabba.

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