Rugby: Italia-Nuova Zelanda, 5 cose da sapere

VENEZIA. E' il giorno degli All Blacks a Roma. Alle 15 allo Stadio Olimpico va in scena l'ultima sfida di novembre dei Cattolica TestMatch 2018: gli Azzurri di O’Shea affrontano i neozelandesi Campioni del Mondo.Allo stadio ci saranno 63mila persone, 9mila in meno delle precedenti visite degli All Blacks (2012 e 2016) perché all'Olimpico utilizzato dalla Serie A di calcio sono stati interdetti al pubblico alcuni settori delle curve per impedire il contatto tra tifoserie opposte.
Nel rugby il problema non si pone, i tifosi siedono mischiati fra di loro, ma le strutture divisorie dell'Olimpico sono fisse e non rimovibili.Per chi la guarda da casa c'è la diretta in chiaro su DMax canale 52. Che inizia già dalle 14.15 con un prepartita: con Daniele Piervincenzi, Paul Griffen, Antonio Raimondi e Vittorio Munari. Ci sarà pure Sergio Parisse, capitano sfortunato infastidito da un polpaccio dolorante che gli ha impedito di essere in campo negli ultimi test azzurri. In campo, con la fascia di capitano come contro la Georgia e l'Australia, il padovano Leonardo Ghiraldini.
COSI' IN CAMPO
ITALIA: 15 Jayden Haywaed, 14 Tommaso Benvenuti, 13 Michele Campagnaro, 12 Tommaso Castello, 11 Mattia Bellini, 10 Tommaso Alllan 9 Tito Tebaldi, 8 Abraham Jurgens Steyn, 7 Jake Polledri, 6 Sebastian Negri, 5 Dean Budd, 4 Alessandro Zanni, 3 Simone Ferrari, 2 Leonardo Ghiraldini (capitano), 1 Andrea Lovotti.A disposizione16 Luca Bigi, 17 Cherif Traorè, 18 Tiziano Pasquali, 19 Marco Fuser, 20 Johan Meyer,21 Guglielmo Palazzani, 22 Luca Morisi, 23 Edoardo Padovani.
NUOVA ZELANDA:15 Damian McKenzie, 14 Jordie Barrett,13 Anton Lienert-Brown,12 Ngani Laumape,11 Waisake Naholo,10 Beauden Barrett,9 TJ Perenara,8 Kieran Read (c),7 Ardie Savea,6 Vaea Fifita,5 Scott Barrett,4 Patrick Tuipulotu,3 Nepo Laulala,2 Dane Coles,1 Ofa TuungafasiA disposizione:16 Nathan Harris,17 Karl Tu’inukuafe,18 Angus Ta’avao,19 Brodie Retallick,20 Dalton Papalii,21 Te Toiroa Tahuriorangi,22 Richie Mo’unga,23 Rieko Ioane.

Ecco cinque cose da sapere sulla sfida Italia-Nuova Zelanda.
1) LA SFIDA NUMERO 15
Italia e All Blacks si sono affrontate 14 volte, ed hanno sempre vinto i giocatori con la Felce d'Argento sul petto. Gli All Blacks sono una delle 3 Nazionali che l'Italia non ha mai battuto assieme all'Inghilterra maggiore e all'Australia. Arrivano per la nona volta in Italia, per la quarta di seguito a Roma, dopo Padova, Rovigo, Bologna, Genova, Milano. Sarà la quindicesima volta che affrontano gli azzurri in 39 anni, da Rovigo 1979 (18-12, passivo più stretto di sempre). Una sedicesima partita, la prima di tutte, l'hanno giocata all'Appiani di Padova (17-9, 6-6 alla fine del primo tempo) contro un memorabile XV del Presidente in maglia tricolore guidato da Carwyn James con tre stranieri che con i parametri di oggi sarebbero azzurri equiparati: Pardìes, Babrow e Naudè.All'Appiani fu un vero choc emotivo, non certo per l'Haka ai tempi poco più di siparietto mal interpretato dai "bianchi" e non come ora da un maori.Fu toccare con mano eroi visti per piccole sintesi in tivù. Erano i Maori di Grahan Mourie e iniziavano così, con questo warm-up padovano appena scesi dall'aereo, un lungo tour europeo a cavallo fra due anni. Realizzarono un grande slam,per bissarlo ci vollero altri 25 anni. Un'impresa pure per loro.

2) COS'E' UN TEST-MATCH E PERCHE' SI GIOCANO
A giugno e a novembre il mondo del rugby si ferma quasi del tutto. Non si fermano più i campionati ma i club si gonfiano di riserve e di "permit player" da club di altre categorie. Tutte le forze migliori sono assorbite dalle Nazionali. In questi due mesi si apre la finestra internazionale. A giugno le squadre europee volano nell'Emisfero Sud per confrontarsi con All Blacks, Australia, Sudafrica e Argentina. A novembre con lo Spring tour (laggiù è primavera) è il Sud a visitare l'Emisfero Nord con quattro appuntamenti. Giocano tutte le Nazionali anche quelle di terzo o quarto livello fra di loro. A poche è concesso confrontarsi con equipe di una fascia troppo più alta. A cosa serve? Serve a misurarsi in una classifica, chiamata ranking, che ogni lunedì la federazione mondiale World Rugby aggiorna. Come nel tennis o nel calcio, tiene conto dei risultati e degli scarti di punteggio e fornisce una percentuale di rendimento. Se l'Italia (attuale 14esima, con il 72%) dovesse battere gli All Blacks (primi), guadagnerebbe molte posizioni. Nel caso contrario, la Nuova Zelanda assesterebbe la propria percentuale già altissima (92%).Non ha altri risvolti pratici se non nei sorteggi mondiali, perché stabilisce le fasce di appartenenza di una Nazionale. Stavolta la sfida ha un sapore in più: Italia e Nuova Zelanda fra 11 mesi si affronteranno al Mondiale in Giappone, nello stesso girone con il Sudafrica e altre. Chi arriva secondo è destinato a giocare la sfida ai quarti con l'Irlanda (possibile finalista) e nessuno ha voglia di incontrarla così presto.

3) IL NOME, LA DANZA, LA FILOSOFIA OVVERO: ALL BLACKS, HAKA, KAIZEN
All Blacks: il refuso sportivo più famoso al mondo. Succede nel 1905, la Nuova Zelanda esiste nel rugby da 13 anni ed ha affrontato due tour. Quell'anno fa il giro del mondo in bastimento circumnavigando il Sudamerica non esistendo ancora il canale di Panama. Arrivano in Gran Bretagna e mettono a segno un filotto di vittorie. Battono Scozia, Inghilterra e tutte le selezioni nei "mid-week": il loro modo di stare in campo è rivoluzionario per gli standard dell'epoca. In un reportage, il cronista scrive All Blacks, ma forse voleva dire All Backs (tutti dietro) riferendosi allo schieramento tattico. Ma è l'imprinting di un soprannome fortunato. Il tour di quel gruppo di primi All Blacks è stato chiamato "Originals". Vinsero quasi tutto, la loro fama li precedette a Cardiff grazie a un sistema di telegrammi letti in pub, in luoghi pubblici. Arrivando in treno vedono i gallesi assiepati lungo la ferrovia per vederli passare. Perderanno per una meta dubbia, mai risolta in oltre un secolo di polemiche. Il loro capitano Dave Gallagher morira in Belgio saltando su una mina durante la Prima Guerra Mondiale.Al Museo del rugby di Artena nel Lazio, fra l’altro, è arrivata per essere esposta in questi giorni la maglia di Dave Gallagher custodita al museo di Palmerston North.

Haka: la danza maori, utilizzata anche nel calcio e nelle regate di vela, è un rito che deve essere condotto da chi ha almeno un quarto di sangue maori. Non sempre è stata capita e rispettata e attualmente è in due versioni, una più pacifica (la Ka-mate) e una più bellicosa (finisce mimando il taglio della gola) ovvero la Ka- pango. In qualche maniera la nascita del mito All Blacks, uno dei marchi più famosi al mondo dietro il Manchester nel calcio o la Ferrari nell'automobolismo, coincide con le imprese anni 70 e con la conclusione dell'Haka come siparietto. Una danza quasi ridicola rispetto all’attuale coreografia raffinata, finché nell’88 capitan Wayne Shelford (uno dei tanti All Blacks scudettati che militarono nella nostra Serie A) decise di «Farla seriamente o non farla del tutto». Kaizen: gli All Blacks vengono visti quasi come un ordine monastico. I senatori devono coltivare anchei propri sostituti di ruolo. Ma non è sempre stato così. Con l'avvento dei mondiali, gli All Blacks hanno conosciuto cocenti esclusioni come nel 1999 e nel 2007, veri e propri traumi. Poi la svolta e la vittoria di due mondiali di seguito (2011 e 2015) con un gruppo che si traghetta da campione a campione, da Dan Carter numero 10 che pareva inarrivabile al suo sostituto Beauden Barrett da due anni voltato il migliore al mondo. Dietro a tutto c'è una filosofia mutuata da quella industriale giapponese. la parola è Kaizen, composizione di due termini giapponesi, KAI (cambiamento, miglioramento) e ZEN (buono, migliore), e significa cambiare in meglio, miglioramento continuo. È stato coniato da Masaaki Imai nel 1986 per descrivere la filosofia di business che supportava i successi dell'industria nipponica negli anni ‘80 con particolare riferimento alla Toyota, tanto da rappresentare il sinonimo di Toyotismo. Applicato al rugby dei tuttoneri significa vedere un pilone correre come uno sprinter, una seconda linea trattare l'ovale e passarlo come un regista. E soprattutto tante skills, abilità, imparate ed eseguite sempre più rapidamente grazie alla cura dell'aspetto mentale. Un libro "Legacy" racconta questi anni di matrimonio della squadra con questa filosofia.

4) L'ITALIA, LA BATTAGLIA SUL MONTE CASSINO E 457 NEOZELANDESI SEPPELLITI DURANTE LA GUERRA
L'Italia per i neozelandesi (di ritorno dalla Gran Bretagna dove il 18 novembre hanno appuntato il papavero rosso sulla maglia per il centenario della Grande Guerra) è il luogo del ricordo, dove sono morti molti connazionali nella risalita del 1943. Nella battaglia sul monte Cassino su tutte con 457 morti seppelliti lì al cimitero di guerra. Fra questi il bisnonno del mediano Tj Perenara come ha rivelato in questi giorni. Fra gli scomparsi di allora anche due All Blacks: George Hart e Jack Harris. E una delegazione della squadra, capitan Kieran Read, Aaron Smith, Dane Coles e Codie Taylor, assieme al presidente della federazione Nzfru Maurice Trapp ha reso tributo recandosi al cimitero di guerra, depositando il “papavero” a ricordo sulla bare e i propri distintivi con la felce. In quella risalita della penisola fu giocato un torneo interforze di rugby e molti fanno risalire a quelle partite il “contagio” del rugby in alcune località italiane.

5) IL VOLUME D'AFFARI IN RELAZIONE ALLE VITTORIE E' di 150milioni di euro il ricavo annuale del marchio All Blacks. Forse non paragonabile a quello di club calcistici, ma stiamo parlando di un paese di 4 milioni di abitanti, con un economia che oscilla oltre il 50esimo posto al mondo. Poi ci sono le annate speciali . Gli All Blacks sono una vera e propria azienda, che nel 2017 ha incassato quasi 232 milioni di dollari tra diritti Tv, sponsor; merchandising e biglietti. E sono al tempo stesso un'ambasciata e un ente del turismo itineranti, come ha spiegato Steve Tew, direttore esecutivo della NZRFU, in una recente intervista a "Midi Olympique": «Quando si parla di All Blacks, non si parla solo di rugby, ma dell'intera Nuova Zelanda. Esportiamo ovunque l'immagine del nostro Paese». Un'immagine vincente, visto che il team di Steve Hansen è in vetta al ranking di World Rugby ininterrottamente dal 16 novembre 2009, prim'ancora delle due vittorie consecutive in Coppa del Mondo (2011 e 2015). In questo decennio ha giocato 121 test, vincendone 107 (88,4%), con 4 pareggi. Una media pazzesca. Il tutto si riflette, ovviamente, sul portafogli. Adidas, che firma il materiale tecnico dal lontano 1999, versa nelle casse della NZRFU 12,5 milioni di euro l'anno (ma non ha diritto di mettere le sue famose tre strisce lungo le maniche); la compagnia di assicurazioni AIG (ex sponsor del Manchester United), prima azienda autorizzata a "sporcare" le maglie nere, ne garantisce 14. Eppoi ci sono Apple, Amazon, Tudor (orologi), Vodaphone ecc. I neozelandesi hanno registrato il marchio All Blacks nel 1986 e la felce d'argento un anno più tardi. Ben prima che il rugby aprisse al professionismo.
AFFARI PURE PER GLI ALTRI. Ovviamente il business All Blacks si riflette anche sugli avversari. E, trattandosi di soldi, non sempre fila tutto liscio. Lo scorso anno, ad esempio, l'Inghilterra gli propose un test a Twickenham fuori dalla finestra di novembre. Loro gli chiesero 3,4 milioni, la metà dell'incasso al botteghino. Non se ne fece nulla. Quest'anno quei soldi dovrebbero averli spuntati. D'altronde gli inglesi hanno fatto pagare i biglietti per il test del 10 novembre dagli 80 ai 220 euro, per un fatturato complessivo di 17 milioni! All'Italia ricevere i neozelandesi non costa nulla, se non sonore sconfitte. Ma fa gongolare la Fir: nel 2016 contò circa 2,5 milioni di soli biglietti, mentre il giro d'affari complessivo di un loro match all'Olimpico è stimato in 3-3,5 milioni.
I SOCIAL: 4,5 milioni i "like" che si contano sulla pagina Facebook degli All Blacks (per la precisione 4.540.378), che vantano anche oltre 1,2 milioni di follower su Instagram e 848.000 su Twitter.
LA PARTITA DELL'ITALIA Assioma numero 1 del rugby: «L’unica partita persa è quella che non giochi». Si impara da bambini. E di fronte a questo pure il mito All Blacks cede, sicuramente come alibi, per l’Italia che li affronta oggi. Il pronostico “chiuso” non esime gli Azzurri dal fare il proprio mestiere. Ovvero essere precisi nelle cose che gli avversari non possono controllare: placcaggi efficaci, non buttare via le touche guadagnate a fatica, precisione negli assist ai compagni (le “quasi mete” contro l’Australia sono una bestemmia sportiva come i “quasi” gol nel calcio). In questi casi gli All Blacks e arbitraggi sfortunati non c’entrano nulla. Si può perdere, ma tenere il campo e correre per 80 minuti. Gli All Blacks sono in “frenata” con due sconfitte quest’anno (Sudafrica e Irlanda sabato scorso) e la vittoria in rimonta sull’Inghilterra di 1 punto. Ma per la loro statistica le partite che dovevano perdere nel 2018 le hanno già perse.
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