Sanità: fine dell’oligopolio per i privati convenzionati

Dopo vent’anni di “numero chiuso”, il disegno di legge Padrin riscrive le regole e liberalizza l’accesso delle imprese alla fornitura dei servizi al sistema pubblico
Di Filippo Tosatto
GENESIN - MANIFESTAZIONE SANITA'.
GENESIN - MANIFESTAZIONE SANITA'.

VENEZIA. Il braccio di ferro tra Regione e sanità privata innesca effetti collaterali che vanno oltre la dialettica tra parti sociali per investire il sistema stesso della medicina convenzionata, caratterizzata finora da una sorta di oligopolio. Il punto di partenza è prettamente contabile: nel prossimo triennio lo Stato taglierà un miliardo di risorse alla sanità veneta e ciò impone una consistente riduzione delle spese. Cura dimagrante, allora, per Ulss, ospedali, case di cura, distretti; e sforbiciata (nell’ordine del 30%) anche alle convenzioni con cliniche, laboratori, poliambulatori, centri di riabilitazione, così da alleggerire la spesa regionale di 140 milioni annui. Scure inaccettabile, insorgono i privati, che rivendicano la maggiore competitività rispetto al pubblico («Costiamo cinque volte meno») e minacciano il ricorso ai licenziamenti. Tant’è. La trattativa, che dopo un incontro tra il presidente Luca Zaia e i rappresentanti delle imprese coinvolte sembrava avviata a soluzione previa un dimezzamento dei tagli iniziali, torna in alto mare tra scambi d’accuse e nuove manifestazioni di protesta all’orizzonte.

Ma il negoziato rischia di passare in secondo piano a fronte delle novità sul piano politico che delineano un’autentica rivoluzione nel settore. Di che si tratta? Del disegno di legge presentato dal presidente della commissione sanità Leonardo Padrin (Pdl) che liberalizza l’accesso delle imprese private alle convenzioni con il sistema pubblico dopo vent’anni di sostanziale oligopolio e offre a tutti i soggetti aventi titolo la chance di concorrere alla fornitura di servizi. La novità non è di poco conto se si considera che dal 1995 ad oggi, a spartirsi la torta delle convenzioni è essenzialmente un centinaio di aziende (sulle 2 mila attive nel privato) che impiega circa tremila addetti e copre il 12% del fatturato sanitario totale. Padrin, il cui progetto ha già raccolto consensi trasversali nella maggioranza e nell’opposizione, si propone due obiettivi: «Il vantaggio della liberalizzazione è quello di ampliare l’offerta, se l’imprese sono incentivate ad aumentare la qualità dei servizi, i direttori generali avranno migliori condizioni di scelta. Detto ciò, occorre assicurare ai partner privati certezza sui tempi e sulle modalità del loro lavoro: il budget di spesa può essere ridotto ma va accompagnato da una garanzia contrattuale ragionevole, diciamo triennale, che consenta di pianificare gli investimenti senza rischi di collasso né pericoli per l’organico. Siamo solidali con i dipendenti che temono per il loro futuro: sappiano che nessuno, in questa fase, vuol mettere in ginocchio le attività imprenditoriali».

Il giorno della verità è in calendario l’11 aprile, con una seduta-fiume della commissione alla quale parteciperà l’assessore Luca Coletto: «I margini sono stretti», fa sapere quest’ultimo «perché la spending review nazionale ci ha imposto tagli lineari pesantissimi e il mancato rispetto dei vincoli di bilancio comporterebbe la reintroduzione dell’addizionale Irpef al massimo per tutti, ovvero 400 milioni di prelievo dalle tasche dei veneti, nonché la cancellazione delle prestazioni sinora fornite come “extra Lea”, cioè ad integrazione dei livelli essenziali di assistenza. Ma se a prevalere sarà il buon senso, allora potremo farcela».

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