Schiavi del lavoro: «Le aziende scaricano le responsabilità grazie a cooperative senza scrupoli»
PADOVA. «Queste inchieste sono figlie della continua corsa al risparmio sul costo della mandopera da parte delle nostre imprese. Il sistema è malato fin dalle fondamenta ma non se ne uscirà fino a quando non si troverà il modo di introdurre una responsabilità in solido per l’azienda che esternalizza. Una responsabilità che comporta il dovere di vigilare sulla sicurezza, le retribuzioni e i diritti dei lavoratori».
Ne è convinto Giosuè Mattei, da poche settimane segretario generale Flai Cgil Veneto, la categoria che si occupa dei lavoratori agricoli e dei lavoratori dell’industria di trasformazione alimentare, tra i settori maggiormente colpiti dalla piaga del caporalato.
Per questo sta seguendo con attenzione gli sviluppi dell’inchiesta della Procura di Padova che, sottolinea, non è che il caso più eclatante tra i moltissimi che ancora non si conoscono.
Cosa racconta del Veneto quella fotografia che mostra un pakistano con le mani legate dietro la schiena lasciato a bordo strada?
«Racconta un sistema malato in cui ormai prevale la logica del massimo ribasso in quasi tutti i campi: dall’agricoltura, alla logistica, al tessile. È innegabile che ormai la maggior parte delle imprese ha esternalizzato pezzi di produzione per abbattere i costi, sia quelli per la manodopera che ad esempio quelli per garantire la sicurezza sul luogo di lavoro».
Facciamo qualche numero così da capire meglio.
«Senza entrare nel caso specifico, si può dire che se un’azienda dovesse pagare un “suo” lavoratore dovrebbe dargli dai 12 ai 17 euro all’ora tutto compreso. Se invece ha dato in appalto quella particolare attività ad una cooperativa lo stesso lavoratore guadagnerebbe 10 euro e la mandante pagherebbe 11 euro alla cooperativa. In questo modo si crea risparmio e non si hanno altri impegni come la vigilanza della sicurezza sul luogo di lavoro, il controllo delle retribuzioni e dei diritti dei lavoratori. Allo stesso tempo si ottiene il risparmio e si può dire di non sapere cosa succede all’esterno del perimetro aziendale».
Che sembra essere la difesa dei manager di Grafica Veneta in relazione alle contestazioni della Procura di Padova.
«Non entro nella questione particolare dato che non conosco le carte dell’indagine. Ma come sindacato è da molti anni che stiamo denunciando il fatto che una parte dell’economia, e del settore agricolo in particolare, non funziona. Purtroppo una parte del mondo imprenditoriale favorisce l’utilizzo illegale di “cooperative spurie senza terra” che propongono servizi a bassissimo costo sfruttando le condizioni di bisogno dei lavoratori. Che questo tipo di cooperative operino sfruttando e mal pagando i lavoratori è risaputo da tutti ma certi imprenditori fingono di non sapere».
È ancora possibile invertire le rotte e far emergere con sempre maggiore frequenza questi fenomeni?
«L’azione di stare vicini ai lavoratori nei luoghi di lavoro ma soprattutto parlarci, ascoltarli, comprenderli nel loro disagio, consente di intercettare tutte quelle “prassi spia” che questi imprenditori spregiudicati praticano sfruttando le lavoratrici e i lavoratori. La collaborazione con gli organi ispettivi consente di intervenire a tutela, là dove si configurano reati e si annienta la dignità delle persone. La nostra attività prosegue e continueremo a segnalare alle autorità competenti anche tutte le attività illecite e di sfruttamento».
Le associazioni di categoria hanno fatto quadrato difendendo il “sistema Veneto” del fare impresa.
«Purtroppo da noi non si è ancora capito l’importanza del tema. Nessuno si sofferma sull’enorme evasione fiscale prodotta da queste cooperative senza terra che nascono e muoiono nel giro di due anni. In Emilia Romagna il tema è stato colto e i vertici istituzionali stanno dialogando per trovare una soluzione».
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