Show di Benigni in Prato della Valle«Si faccia una statua a Zanonato in bici»
Roberto Benigni ha conquistato i padovani. Almeno cinquantamila persone hanno assistito in Prato della Valle alla sua lettura della «Divina Commedia». Benigni ha cominciato con l’attualità («l’anno scorso mi sono occupato dell’opposizione, quest’anno voglio occuparmi del governo», e via con la satira), poi è passato all’ultimo canto del «Paradiso».

Oltre cinquantamila persone davanti a un uomo solo, vestito di nero con una camicia bianca, un fazzoletto in mano per asciugarsi di tanto in tanto il sudore. Quaranta minuti a ruota libera su Padova, Zanonato e soprattutto tantissimo Berlusconi, tanto per non cambiare; quindi, il canto trentatreesimo del Paradiso di Dante fino alla fine.
Si fa vedere alle 21.18 Roberto Benigni, saltella come il suo Pinocchio, balla e saluta, prova a parlare al microfono ma non funziona, pochi secondi e il microfono va, mentre il pubblico applaude ancora: «Pensavo fosse una standing ovation, ma qui non ci sono neanche le sedie! Sindaco Zanonato, le sedie!», urla. E poi ci dà dentro con il dialetto veneto: «Ciao veci, come steo? Ghe voria na bea piova! Ciao Guizza, Cadoneghe, Abano! L’anno scorso son venuto a Padova e ho parlato male dell’opposizione, ora per par condicio parlerò male del governo».
E infatti da Berlusconi a Bondi a Calderoli a La Russa è tutta una battuta (non sempre felici). Eccone qualcuna: «Silvio Berlusconi appena fa una legge capiamo subito che problemi ha. Per fortuna è tornato: mi ero inventato Dante perchè non avevo più battute»; «Abbiamo perso agli Europei con la Spagna. Loro avevano in tribuna il re Juan Carlos, noi Ignazio La Russa: si può vincere guardando quello?»; «Veltroni ha detto: ha vinto la Spagna? Sono contento, è una mia amica, canta bene»; «Bondi ha detto: non guarderò più Zorro»; «Quando guardo la partita, piuttosto che gridare Forza Italia grido Avanti Penisola».
Racconta dell’accoglienza ricevuta a Padova: «E magnate sta poenta e osei, mi fanno, e bevite sto spriss, e trovate na bea gnoca e va in leto!». Si sbaglia accennando al fatto che il Santo è alle sue spalle, e invece alle sue spalle c’è Santa Giustina. Poi apre un gustoso siparietto sul Sessantotto, il Sessantotto alla Casa del Popolo del suo paese toscano dove c’erano le Simca e le Prinz («vederle vicine era come incontrare oggi Calderoli e Bondi insieme), e dove c’era l’abitudine a bere il Vov (liquore all’uovo) per far capire che si era appena fatto del sesso.
Prima di passare a Dante, immagina una statua in Prato anche per Zanonato in bici e spara a zero su Albertino Mussato, letterato padovano «che ha scritto una tragedia che è una brutta scemenza e pensate che fecero a Padova una festa per incoronarlo sommo poeta e Dante niente. Dante che a Padova ha scritto il Paradiso!». Cita Galileo («un uomo che ha inventato la scienza: era a Padova») e saluta l’università (i tanti universitari gli rispondono con enfasi); cita Giotto che faceva i disegni belli e aveva i figli brutti («perché i disegni li faceva di giorno, i figli di notte»). Infine la lettura del Paradiso: il canto trentatreesimo che non aveva mai recitato prima.
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