Tangenti, cinque anni all’ex vicesindaco

VERONA. Nessuna reazione alla lettura del verdetto di condanna. Così l’ex vicesindaco di Verona Vito Giacino ha ascoltato ieri in aula il giudice Giuliana Franciosi che leggeva la sentenza per cui lui e la moglie, l'avvocato Alessandra Lodi, sono stati ritenuti «responsabili dei reati a loro ascritti (cioè la concussione e l’induzione a dare o promettere utilità), unificati i fatti sotto il vincolo della continuazione, condanna Vito Giacino a cinque anni di reclusione e Alessandra Lodi a quattro anni». Immobili, senza lasciar trasparire alcuna emozione, in aula sono rimasti pochi minuti.
La pena detentiva, poi le pene accessorie: interdetti entrambi dai pubblici uffici per cinque anni, dovranno anche risarcire il Comune e Alessandro Leardini, ma la decisione e la quantificazione spetterà ad un altro giudice. Anche se a favore dell’imprenditore (parte civile con l’avvocato Marco Pezzotti) il gup ha disposto una provvisionale immediatamente esecutiva di 20mila euro, l’importo delle due fatture pagate nel 2013, le ultime che Leardini saldò all’avvocato Alessandra Lodi alla quale era stato «costretto» a rivolgersi, consulenze che per il pm erano tangenti mascherate.
Non solo: la norma prevede «la confisca di quei beni che costituiscono il profitto» e il giudice ha ordinato la confisca del mobilio fornito alla coppia dalla «Ambienti Ufficio di Pedini Boni» presente nel mega attico di via Isonzo oltre che della somma di 168.367 euro «ovunque rinvenuta nella disponibilità degli imputati». Qualora non vengano trovati beni o denaro ha comunque ordinato la confisca di denaro e beni «fino alla concorrenza della somma massima complessiva di 20mila euro». L’indagine, gli elementi raccolti e l’impianto accusatorio del pm Beatrice Zanotti hanno retto e nonostante l’articolata difesa condotta dai loro legali (gli avvocati Filippo Vicentini, Apollinare Nicodemo e il professor Mario Bertolissi, esperto in diritto amministrativo) la credibilità di Leardini ha superato il vaglio del magistrato. Non è stata smentita, evidentemente, da prove concrete.
Vito Giacino ha sempre negato di aver pressato l’imprenditore, anzi nel primo interrogatorio - quello di garanzia, in carcere - sostenne che era vero che si vedevano spesso ma solo perchè erano amici e insieme andavano a fare viaggi, per comprare regali o visitare città come avvenne a Praga. Ha sempre negato di aver fatto pressioni e i suoi legali hanno ribadito che non poteva intervenire sulle pratiche presentate da Leardini per i Peep. Ma per il gup Franciosi le dichiarazioni contrarie non sono bastate, non l’ha convinta nemmeno la spiegazione del «nero» che l’ex politico ha ricollegato alla sua attività legale (e introdotto a sostegno di una buona provvista di contante). Nessun commento. «Non prima di aver letto le motivazioni, tra 70 giorni», si limita a dire l’avvocato Vicentini. Nessun commento nemmeno dall’ex vicesindaco Giacino. Che ha lasciato il tribunale tenendo per mano la moglie.
Solidarietà all’ex collega di giunta comunale è stata espressa subito dallo stesso sindaco Tosi: «Sono dispiaciuto per la condanna di Vito, anche se è vero che, come ha detto il presidente del Consiglio, si è innocenti fino alla sentenza definitiva. La mia idea? Se ce ne fossero stati di più ad accusarlo lo scenario potrebbe essere diverso ma è la parola di uno contro l’altro e non c’è prova delle dazioni di denaro. Abbiamo già visto sentenze ribaltate in secondo grado, è successo a Berlusconi, mi auguro accada anche a Vito».
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