Tangenti Mose a Chisso: ora si indaga sugli amici

La Procura sta accertando l’identità di chi gli faceva da tramite nelle mazzette
agenzia candussi, giornalista chiarin. Renato chisso presso Carabinieri via san donà favaro veneto
agenzia candussi, giornalista chiarin. Renato chisso presso Carabinieri via san donà favaro veneto

VENEZIA. L’inchiesta per corruzione sui Grandi Accusatori del Mose è chiusa, ma le indagini sul tesoro scomparso dell’ex assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso continuano.

La Procura di Venezia non molla: vuole trovare non solo i soldi, ma anche il tramite delle mazzette. Tramite che non è solo l’ex segretario particolare Enzo Casarin, come finora emerso, ma altre persone «in corso di identificazione».

Lo scrivono i pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini nelle oltre 40 pagine di contestazioni appena depositate a carico di Piergiorgio Baita (ex ad della Mantovani), Nicolò Buson (direttore amministrativo della Mantovani), Claudia Minutillo (ex ad di Adria Infrastrutture), Pio Savioli (componente Cda Consorzio Venezia Nuova) e Mirco Voltazza.

Il passaggio è quello riferito alle presunte tangenti pagate a Chisso: «riceveva», si legge, «sia personalmente che tramite Enzo Casarin suo segretario particolare all’Assessorato alle Infrastrutture, nonché attraverso altre persone in corso di identificazione, ingenti somme di denaro nell’ordine di diverse centinaia di migliaia di euro, che con frequenza annuale gli venivano consegnate da Sutto, da Minutillo, da Baita e da Buson».

Gli amici. Amici dell’assessore, dunque, la cui identità è in fase di accertamento. E altri amici di Chisso vengono indicati dai pm (ma non come indagati) nell’atto con cui viene chiesto il processo per i Grandi Accusatori: si tratta di coloro che l’assessore avrebbe a vario titolo agevolato facendoli inserire in società e in lavori collegati alle aziende di Baita e Minutillo.

C’è il nome dell’architetto mestrino Dario Lugato, dell’architetto cadorino ed ex commissario per le grandi opere del Nordest Bortolo Mainardi, del commercialista Fabio Cadel. Il primo, sostengono gli inquirenti, sarebbe stato fatto partecipare al gruppo di progettazione della superstrada “vie del mare” senza versamento della corrispondente equity; il secondo avrebbe ottenuto consulenze per la sua società da Adria Infrastrutture; il terzo sarebbe stato inserito nel collegio sindacale della Autostrade Serenissima spa controllata dal Gruppo Mantovani.

E tra gli amici di Chisso figura anche la Carron Cav. Angelo spa: per i pm sarebbe stata inserita tra le società di progetto per la costruzione della superstrada “vie del mare” collegamento A4-Jesolo e litorali grazie appunto ai buoni uffizi dell’ex amministratore regionale.

I soldi spariti. A dar la caccia ai soldi dell’ex assessore non c’è soltanto la Procura ordinaria, ma anche quella contabile. Lo scorso 6 luglio c’è stato il processo alla Corte dei Conti e la sentenza è attesa nei prossimi giorni.

Se il giudice accoglierà le richieste dell’accusa, Chisso dovrà pagare allo Stato 5,7 milioni di euro a titolo di danno erariale. Difficile capire come, in caso di condanna, verrà trovata quella cifra; lo scorso mese i vitalizi dell’ex assessore, congelati dalla Regione, sono stati sequestrati da Equitalia.

Minutillo torna in Procura. Tra i “finanziatori” dell’ex assessore c’è Claudia Minutillo. L’ex manager verrà risentita in Procura o, perlomeno, il suo legale, l’avvocato Carlo Augenti, sta valutando di chiedere un incontro con i pm.

«Occorre definire bene l’arco temporale delle sue responsabilità», precisa il legale, «Siamo valutando di essere sentiti in Procura per alcune precisazioni e per chiarire l’effettivo apporto, a conferma dei precedenti interrogatori. Vogliamo chiarire la successione temporale dei fatti». La difesa Minutillo, così come quella degli altri quattro indagati, attenderà l’esito del processo Mose in corso (prevista per metà settembre) per decidere la strategia processuale da adottare.

Le accuse di cui devono rispondere, a vario titolo, sono quelle di corruzione, finanziamento illecito e violazione del decreto 74/2000 in materia di reati fiscali (per le false fatturazioni). È possibile che, di fronte alla prospettiva di risarcimenti milionari, i cinque indagati scelgano la soluzione del patteggiamento.

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