Toscani e gli anni d’oro di Fabrica. Quando Treviso riuniva l’avanguardia delle idee

La parabola del centro di ricerca ideato da Toscani, con creativi da tutto il mondo. Ora il Gruppo ha sospeso il progetto, budget tagliato da 4 milioni a 200 mila euro

Andrea Passerini
Una vecchia foto con i creativi di Fabrica, a Villa Pastega, Villorba
Una vecchia foto con i creativi di Fabrica, a Villa Pastega, Villorba

La sua creatura è chiusa, adesso. Sospesa, in attesa di conoscere la nuova destinazione, verosimilmente un polo formativo di eccellenza, forse la sede italiana di una grande scuola internazionale, probabilmente un’università americana. Solo il destino poteva creare questa coincidenza – la svolta di Fabrica, 30 anni dopo la nascita voluta dal fotografo toscano, matura negli stessi giorni in cui si congeda del mondo il suo artefice, pure tornato (come gli assassini sul luogo del delitto, no?) nel 2018, a dare l’ultima spinta di idee, creatività, energia.

Ancora a fianco di Luciano Benetton, grande amico e sodale prima che committente e mecenate. Ma nel frattempo era cambiato, se non tutto, molto. Anche in casa Benetton, anche in Benetton Group e nella holding di famiglia.

E Toscani sarebbe uscito di nuovo nel 2020. Anticipando la drastica cura dimagrante per Fabrica, il cui budget è stato ridotto da 4 milioni a 200 mila euro proprio nelle scorse settimane.

L’archistar Tadao Ando

Il gioco del tempo fa sì che oggi villa Pastega, ridisegnata negli anni ’90 con un progetto originalissimo dall’archistar Tadao Ando, osservasse quasi un suo lutto, in questa fase di transizione con un futuro già scritto di discontinuità. A “soli” 30 anni, per lo stop all’attività e alla revisione impressa dai vertici di Edizione Property e Benetton Group.

Uno stop, sembra di qualche mese, con la scure sul budget, dopo tre decenni che hanno fatto della creatura di Toscani un vulcano ammirato e discusso, contestato ed esaltato, ma sempre al centro del design e della comunicazione pubblicitaria a cavallo del Duemila. Riferimento imprescindibile di creativi, art director, pubblicitari .

Una storia – dietro le colonne e lungo la grande vasca antistante la villa veneta, attorno a quella scala circolare a chiocciola icona e simbolo di Fabrica – che va oltre Toscani, al timone della sua creatura dal 1994 al 2000 e appunto dal 2018 al 2020. E persino oltre le campagne più famose (ma Toscani le chiamava le «uscite», perché «le campagne sono roba da militari»), che sbattevano drammi e tragedie del mondo sui muri della città per messaggi pacifisti, antirazzisti, universalisti e di vicinanza ai sofferenti (e quanto l’avranno influenzato le battaglie e la figura di don Milani, conosciuto in gioventù a Barbiana).

Sono gli 800 fabricanti che si sono susseguiti negli anni lì dai cinque continenti, e che fatalmente a Catena hanno stretto amicizie, amori, costruito famiglie in tutto il mondo, sparso figli. Un piccolo Erasmus creativo dell’entroterra veneto, pensato da un creativo poco allineato e da un imprenditore poco omologabile pure lui. Non meno di due generazioni, come dimostra la storia di Carlos Casas, nel 1995, agli albori, e ultimo direttore.

Toscani e il suo staff, coordinato da Nicolas Bellario, hanno lasciato pensare e creare, elaborare e vivere interiormente ragazzi e ragazze, a colpi di semestri e di progetti sostenuti finanziariamente.

E sono nate opere d’arte girate nel mondo, fotografie (Nel 1998 gli scatti di “Enemies”), installazioni, performance, testi e cataloghi , progetti multimediali, campagne pubblicitarie ed elettorali, film (con tanto di premio Oscar, nel 2002, per lo straordinario “No Man’s Land” sul conflitto nell’ex Jugoslavia), docufilm, video, produzioni multimediali.

E sono i numeri della rivista Colors, coordinata dal grafico Tibor Kilman, con le sue copertine e le sue domande provocatorie (Toscani docet): “Quanto vale una vita?”, recitava in millanta lingue una delle più famose. Fino all’ultimo progetto - e il fotografo scomparso già non c’era già più al timone – quella della kinship, che voleva mettere a fuoco, come un legame di sangue appunto, l’interdipendenza fra l’uomo e ogni altro essere vivente, tra l’uomo e la natura, tra l’uomo e la Terra. Un messaggio che sarebbe piaciuto a Toscani, cantore sui generis della solidarietà e della fratellanza umana oltre ogni steccato, colore e pregiudizio.

Il sogno di Fidel Castro

Leggendari i mille aneddoti su Fabrica: le discussioni accese e gli scontri fra il toscanaccio Toscani e i fabricanti, ma anche le cene nelle osterie; il sogno proibito di Toscani, che avrebbe voluto nominare direttore Fidel Castro; la filosofia dell’ “imparar facendo”; la ricerca ossessiva di idee nuove che Toscani seminava come un mantra ai residenti; il desiderio di uscire, in quella villa antica contemporanea e postmoderna al tempo stesso, in quell’oasi nella campagna veneta peraltro fra le più capannonizzata al mondo, dalle logiche commerciali e del denaro. Singolarissima realistica utopia.

Ma alla fine anche il feeling tra Toscani e la grande famiglia Benetton si era incrinato, ed era rimasto il legame, forse una vera kinship, tra Luciano e il fotografo toscano.

E lì dentro, ancor oggi, c’è il patrimonio materiale e non solo, della biblioteca, tra le e più complete al mondo in tema di arte design e comunicazione; del know how di un’esperienza straordinaria, insuperata per decenni, già nella storia sociale dello scorso millennio, prima ancora che di comunicazione e marketing aziendale.

Il futuro nasce della volontà di innovare, per aprire una scuola internazionale, forse anche con l’appeal di Venezia e Nordest. Son tempi di ristrutturazione in Benetton, con i dipendenti incentivati a uscire, anche Fabrica deve obbedire alla sostenibilità. Sign of the times, avrebbe cantato Prince.

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