Tosi: "Salvini mi ha eliminato. Liga schiava dei lumbard"

L'ex sindaco di Verona: "Mi candido al proporzionale nella mia città e in provincia"
Flavio Tosi con la compagna Patrizia Bisinella
Flavio Tosi con la compagna Patrizia Bisinella
PADOVA. Quando si fa il nome di Flavio Tosi la Lega alza muri e steccati. Sembra di nominare il diavolo: lei è stato sommerso di critiche. Cosa c’è sotto, un conflitto personale?
 
«No. Bisogna rileggere la storia della Liga per capire che il comportamento di Salvini è coerente: ogni volta che in Veneto abbiamo rivendicato l’autonomia dalla Lega Lombarda abbiamo fatto la stessa fine: siamo stati epurati. Io sono il terzo segretario cacciato dal partito, prima di me è toccato a Franco Rocchetta, il padre di tutte le leghe e poi a Fabrizio Comencini. La Lega Lombarda fin dal 1990 ha sempre esercitato il suo dominio su Venezia».
 
In tutti i partiti chi è in netto dissenso viene emarginato, nel Carroccio c’è una guida leninista, pochi iscritti, tessere bloccate, avanti con i fedelissimi...
 
«Nella lista degli epurati bisogna aggiungere Giancarlo Gentilini a Treviso e Roberto Maroni a Milano e credo che anche Umberto Bossi sia ridotto al silenzio. Ciò conferma che la questione Flavio Tosi non è personale ma si colloca nella dinamica di scalata al potere di Salvini, che sta epurando ogni avversario interno».
 
Flavio Tosi con la compagna Patrizia Bisinella
Flavio Tosi con la compagna Patrizia Bisinella
 
Lei è stato un ottimo allievo di Maroni al tempo dello scandalo Belsito e delle “scope”. Che futuro può avere il governatore della Lombardia dopo il suo passo indietro?
 
«Nella Lega, Maroni è la figura con il profilo più alto e con maggiore esperienza di governo: è stato per due volte ministro degli Interni e per due volte ministro del Lavoro. Ha fatto il governatore della Lombardia e con il suo ruolo istituzionale va assolutamente recuperato per il bene dell’Italia. Bossi non avrebbe fatto a Maroni ciò che invece Salvini ha fatto a Maroni».
 
Veniamo al Veneto, lei dove si candida? In un collegio uninominale o al proporzionale?
 
«Flavio Tosi è sempre stato abituato a misurarsi con il territorio, non cerco il collegio blindato e sicuro. Ho deciso il destino di molti parlamentari nella mia carriera senza trarne alcun giovamento personale: ho rinunciato alla poltrona di eurodeputato nel 2014 per restare alla guida di Verona, la figura di sindaco è la più alta missione di servizio in politica. E quindi mi pare ovvio e scontato essere il capolista di “Noi con l’Italia” nel collegio proporzionale di Verona».
 
Tosi ai tempi in cui era segretario veneto della Lega
Tosi ai tempi in cui era segretario veneto della Lega
 
Parliamo di contenuti: FI, Lega e FdI hanno firmato il programma, Noi con l’Italia su cosa punta? 
 
«Sulla concretezza e sulla verità. In una campagna elettorale dove si fa la gara a chi la spara più grossa senza poi portare i conti a sostegno della credibilità delle promesse, restare con i piedi ancorati per terra è un’operazione fondamentale per dare dignità al ruolo del Parlamento. Sulle tasse se ne sentono di tutti i colori». 
 
Lei ha proposto di mettere in Costituzione una soglia sull’aliquota massima, Salvini vuole la flat tax al 20%, Bersani dice che tagliando l’Irpef si rischia il fallimento. Come la mettiamo con i vincoli di bilancio Ue?
 
«La Costituzione italiana va modificata perché prevede le aliquote progressive in funzione dei livelli di reddito. Il nodo vero è la misura della flat tax, il 23% proposto da Berlusconi è plausibile con la tenuta dei conti pubblici visto che ci sarà certamente un recupero dell’imposta evasa: l’aliquota è così equa che viene a cadere l’interesse ad evadere».
 
Salvini però non la pensa proprio così...
 
«Le sue analisi ricordano le zuffe da osteria, dove si fa a gara a chi la spara più grossa: 15, 20 o 23 non è la stessa cosa, ogni punto di Irpef vale 15 miliardi di euro nelle casse dello Stato».
 
I sondaggi dicono che il centrodestra è in forte vantaggio ma difficilmente avrà la maggioranza assoluta: lei che scenari ipotizza dopo il 4 marzo?
 
«Ce ne sono diversi. Quello che io auspico è la vittoria piena del centrodestra con maggioranza assoluta e un governo in carica per 5 anni. Ipotesi due: nessuna coalizione ottiene la maggioranza e quindi o si rivota e sarebbe una follia o si fa un governo di responsabilità, scelto dal presidente della Repubblica. Questo scenario presuppone di recuperare gli obiettivi che si era prefissato il “patto del Nazareno”. Ovvero modificare la Costituzione e la legge elettorale per garantire un vincitore certo alle prossime elezioni. Il Rosatellum non va bene».
 
Il premier secondo lei spetta a Forza Italia o al Pd? Gira il nome di Niccolò Ghedini, visto che Berlusconi è fuori gioco per la Severino. Lei che dice?
 
«La coalizione e non il partito che ottiene il maggior numero di voti avrà diritto ad indicare il premier e nel centrodestra sarà Berlusconi a proporre al presidente Mattarella il futuro presidente del consiglio. Stimo Niccolò Ghedini e so che non ha nessuna intenzione di candidarsi a questo ruolo. Quando dice di no non fa dietrologia».
 
Salvini però è convinto di battere Forza Italia.
 
«Per carità. Non ha il profilo istituzionale che richiede la figura di premier: Salvini divide e non unisce gli italiani e non ha mai dimostrato qual è la sua capacità di governo».
 
A che punto siamo con la suddivisione dei collegi: lo schema 17 alla Lega, 9 a FI e 2 a FdI è vero?
 
«No, per un motivo tecnico. A Noi con l’Italia sono stati attribuiti oltre trenta collegi su base nazionale e l’accordo con Berlusconi cancella ogni intesa locale precedente. E’ evidente che la Lega avrà maggior peso in Veneto e Lombardia, FdI al centro e FI al Sud. Noi pretendiamo una distribuzione omogenea».
 
Che impegni si assume per la nostra Regione e lei ritiene che la trattativa sull’autonomia avviata da Zaia e Bressa vada conclusa o si tratta di una perdita di tempo?
 
«Nella mia carriera sono stato assessore alla Sanità in Veneto e sindaco di Verona e credo nella difesa del territorio: è giusto portare avanti le legittime istanze locali senza demagogia. L’autonomia non è una partita difficile perché se si rispettano i binari previsti dall’articolo 116 della Costituzione, lo Stato affida delle deleghe alla Regione con un trasferimento di risorse a saldo zero. È una partita di giro: ora spende Roma, da domani sarà Venezia a farlo nel nome dell’autonomia. Sono ottimista, ci sono le condizioni per firmare l’intesa a prescindere dal colore dei governi. Il vantaggio per il Veneto sta nella velocità delle decisioni che potrà assumere, senza attendere i tempi romani. L’accordo si può chiudere con sereno ottimismo».
 
I suoi rapporti con Luca Zaia dopo lo scontro del 2015?
 
«Anche quando eravamo in Lega ci siamo sempre limitati a dei rapporti molto istituzionali e così credo resteranno in futuro».
 
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