Trappola sullo yacht «Così presero Felice nel mare di Capri»

Il racconto di Maria Grazia Dalan, amica e complice del boss Era il 13 agosto 1993 quando la donna fu arrestata con lui
Di Giorgio Barbieri

PADOVA. «Freddo, calcolatore. Ma allo stesso tempo timido e riservato. Ecco com’era Felice Maniero in privato». Parla per la prima volta una delle donne che è stata più vicina al boss della Mala del Brenta. Maria Grazia Dalan era in vacanza con «Faccia d'angelo» quando lo arrestarono a Capri, ormai vent'anni fa. Era a bordo del Lucy, la barca di 18 metri che portava il nome di mamma Lucia, quando il figlio del boss, Alessandro Maniero, arrivò urlando: «Hanno arrestato papà». È il 13 agosto 1993 ed è la data che segna l'inizio della fine della parabola criminale del capo indiscusso della Mala del Brenta.

Maria Grazia Dalan, residente a Cadoneghe, ha finito di scontare una condanna a cinque anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso (accusa scattata dopo il «pentimento» del boss). Dal 1988 è la compagna di Salvatore Trosa, braccio destro e consigliere di Maniero, da 17 anni rinchiuso in carcere a Prato. La donna, che per gli investigatori della Distrettuale Antimafia aveva partecipato «alla vita dell'organizzazione, sostituendosi al compagno quando questi non è stato in grado di occuparsi personalmente dei traffici illeciti», racconta per la prima volta i retroscena dell’arresto durante la vacanza a Capri (di cui pubblichiamo due foto inedite), fornendo così uno spaccato della vita privata del boss della Mala del Brenta, visto con gli occhi di una delle donne che meglio lo hanno conosciuto.

Un mese e mezzo prima di essere arrestato, Maniero, accompagnato proprio da Salvatore Trosa, aveva fatto un viaggio in Sud America. Da Ginevra, dove aveva utilizzato un passaporto falso con l'identità di Giovanni Bellavia, aveva preso un aereo per Caracas, in Venezuela, per poi raggiungere Bogotà in Colombia. Qui si era accordato per l'acquisto di una partita di 300 chili di cocaina, che sarebbe arrivata prima in Jugoslavia, e da lì in Italia grazie alla complicità di funzionari jugoslavi corrotti.

Come è nata l'idea di quella vacanza, che è costata l'arresto di Maniero?

«Felice doveva andare in Croazia per seguire i suoi affari. La barca era stata comprata a giugno nei cantieri navali di Ostia. Il Lucy era stato acquistato in contanti per un miliardo e 180 milioni delle vecchie lire. Proprio perché sapevamo di essere a rischio, Felice aveva deciso di farsi chiamare da tutti, sempre, con un altro nome. Proposi Chicco e così lo chiamammo per tutta la vacanza».

Cosa ricorda di quel giorno di quasi vent'anni fa?

«Tutto. Il piccolo Alessandro che ha visto l'arresto del padre. Salvatore che mi dice di fare immediatamente i bagagli. Il poliziotto, con la pistola in mano, che mi fa alzare le mani. Felice sentiva il fiato sul collo degli investigatori, sapeva che stavano chiudendo il cerchio. Per questo, con Salvatore, eravamo arrivati a Capri un’ora prima di lui e di Marta, la sua compagna, che erano rimasti a Napoli. Dovevamo verificare che non ci fossero problemi. Il sostituto commissario Michele Festa però si era nascosto bene. E quando Felice è arrivato l'hanno preso. Poi è successa anche una cosa strana. Ci hanno chiusi tutti insieme all'interno della barca, per aspettare l'arrivo delle telecamere e fare la passerella con Felice in manette. Mi chiedo: avete appena arrestato il capo della Mala del Brenta e lo lasciate da solo a parlare con Salvatore, il suo braccio destro?».

Perché Maniero, che sapeva di essere braccato, ha commesso la leggerezza di chiamare lo yacht con il nome della madre, Lucia?

«In realtà non siamo stati noi a commettere errori. Se Festa l'avessi visto anche una sola volta in precedenza, l'avrei immediatamente riconosciuto. Infatti mi disse: «Avevo paura che mi sgamassi». E una volta disse ad uno degli arrestati: «Se foste stati tutti come Mami (il soprannome dato da Maniero alla Dalan, ndr) non vi avremmo mai preso». A tradirsi era stato uno della banda che aveva parlato con un poliziotto infiltrato».

Come ha conosciuto Felice Maniero?

«Tramite il mio compagno. Salvatore Trosa una sera venne a cena nel ristorante dove lavoravo. Era il 1988. In quel periodo Salvatore era un po’ in disgrazia all'interno dell'organizzazione a causa del vizio del gioco. Ma quando Maniero seppe che frequentava me, una ragazza che lavorava, tornò nuovamente a fidarsi di lui che divenne il suo braccio destro. Una sera andammo a casa di Felice a Campolongo. Sapevo chi era e immaginavo di incontrare un uomo grande e grosso. Quando me lo trovai davanti gli dissi: «Tu saresti il capo? Ma se te dago un soffion cadi par tera». Nella stanza calò il gelo. Salvatore mi disse «come ti permetti». Felice scoppiò a ridere: «Lasciala stare. Sei fortunato ad avere una donna che ha il coraggio di dire ciò che pensa»».

In molti si sono occupati di Felice Maniero: un paio di mesi fa è stata trasmessa anche una fiction per Sky. Ne è sempre uscito il ritratto di un gangster amante della bella vita. È Così?

«Ho letto una quantità infinita di monae. La verità è che Felice ha un carisma particolare, è un trascinatore. Non so chi abbia inventato la definizione di “Faccia d'angelo", ma è perfetta. Da un lato è un freddo calcolatore, deciso, che si prende qualsiasi cosa gli serva. Nel privato, nell'intimo, era una persona perfino semplice. So che sarà difficile crederci ma a tratti anche timido. La sera, se aveva freddo, si metteva addosso la copertina. Se gli si faceva la battuta che non si aspettava, diventava anche rosso».

E la villa faraonica, lo yacht e il lusso?

«Felice è un amante delle cose belle. Ma ci sono state esagerazioni, messe in giro da lui che, con grande abilità, ha sempre preso in giro tutti. Nella villa di Campolongo c'erano tappeti e mobili di valore. Ma molti rubinetti, che si diceva fossero in oro, avevano invece il calcare. La barca effettivamente era lussuosa: 18 metri e tre piani. Una mattina però eravamo al porto di Napoli. Io e Felice ci svegliammo molto presto e, di fianco a noi, aveva attraccato una barca inglese di cinque piani. Sembrava un transatlantico. Dissi a Maniero che la nostra, al confronto, era una bagnarola. Si fece una gran risata».

Allo stesso tempo Maniero era un feroce criminale, che ha ordinato omicidi e commesso sanguinose rapine.

«Io ho conosciuto soprattutto un altro Felice, la faccia d'angelo».

Lei, come tutti gli altri della Mala del Brenta, è stata condannata ed è stata in carcere a causa della decisione di Maniero di collaborare con la giustizia. Alcuni gli vogliono fare la pelle per questo. Lei prova ancora rancore nei suoi confronti?

«È stata una scelta obbligata, altrimenti avrebbe trascorso il resto della sua vita in carcere. Non gli perdono però una cosa: mi ha messo in mezzo in una questione di droga nella quale non c'entravo. Se oggi me lo trovassi davanti gli chiederei solo questo. Perché l'hai fatto».

Quando è stata l'ultima volta che ha visto Maniero?

«Davanti al cimitero di Campolongo, dopo l'evasione dal carcere di Padova, per la quale è ancora in debito con me. Ma questa è un'altra storia».

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