Tutto sul referendum per la separazione di Venezia e Mestre

MESTRE-VENEZIA. Domenica primo dicembre i residenti nel Comune di Venezia saranno chiamati a decidere per la quinta volta sulla proposta di separazione tra terraferma e laguna, in pratica tra Venezia e le isole dell’estuario da Mestre e Marghera. Un risultato che avrà in ogni caso ripercussioni sulla composizione della Città metropolitana di Venezia (852.472 abitanti a fine maggio), nonché del Comune di Venezia (268.841 abitanti), suddiviso nelle municipalità di Venezia-Murano-Burano (69.679 abitanti), Lido Pellestrina (21.691), Favaro (23.376), Mestre Carpenedo (88.181), Chirignago-Zelarino (37.629) e Marghera (28.285).

INSERT GOOGLE MAP

In pratica 91.370 veneziani d’acqua e 177.471 di terraferma. E questi più o meno sarebbero i numeri dei due nuovi Comuni in caso di vittoria del “sì”. Un dato che farebbe precipitare Venezia al quarto posto tra i comuni veneti capoluogo di provincia, dopo Verona, Padova e Vicenza. Mestre al contrario diventerebbe il terzo comune più popoloso della regione, il primo tra i non capoluogo di provincia.

La proposta di legge popolare per la suddivisione amministrativa del Comune è stata depositata in regione corredata di 9 mila firme di cittadini il 25 marzo 2013. Dopo quattro anni il Consiglio regionale ha votato in aula la “meritevolezza” del quesito (con soli due astenuti e un contrario), nel luglio dello stesso anno la delimitazione dei confini. Il Tribunale amministrativo regionale il 18 agosto 2018 aveva ritenuto illegittimo il referendum sostenendo, tra le altre cose, che un capoluogo regionale deve avere un peso demografico congruo. Sentenza ribaltata dall’organo di secondo grado della giustizia amministrativa, il Consiglio di Stato, che il 18 settembre 2019 ha invece dato il via libera, argomentando che invece la «la valutazione di opportunità» del distacco appartiene «alla responsabilità delle competenti istanze politiche e normative» e non può essere svolta dal giudice, il quale deve lasciare «le scelte politiche ai soggetti politicamente responsabili, incluse le popolazioni interessate».

I PRECEDENTI

Questo sarà il quinto referendum sulla separazione. I precedenti quattro hanno sempre visto la vittoria dei “no” alla  separazione. 

INSERT TIMELINE

Il primo si è tenuto nel 1979, durante la giunta di sinistra (sindaco Mario Rigo), con 72,3 per cento per l’unione contro il 27,6 per la separazione.

Il secondo nel 1989, con la giunta rossoverde di Antonio Casellati schierata per il “no”. Altra vittoria degli unionisti: 57,8 contro 42,2.

Il terzo venne fatto nel 1994 (giunta Cacciari). I separatisti si avvicinano: 44,4 per cento contro 55,6.

Il quarto nel 2002 (sindaco dell’epoca Paolo Costa) non raggiunge nemmeno il quorum del 50 per cento più uno dei votanti e la consultazione referendaria non viene ritenuta valida.

Il caso Cavallino Treporti. Non è la prima volta che una zona si stacca dal Comune di Venezia. La prima era stata Cavallino Treporti, diventato Comune autonomo dopo il terzo referendum, il 13 dicembre del 1998.Gli altri due erano avvenuti: il primo nel 1979, in occasione del primo referendum per la separazione tra Venezia e Mestre. Bocciato dalla maggioranza dei votanti di tutto il Comune. Il secondo nel 1993. Anche in questo caso votarono tutti i residenti del Comune di Venezia e il risultato fu “no”. Ma nel 1997 il comitato promotore dimostra al Consiglio di Stato che i residenti della zona che proponeva di separarsi erano meno del 10% dell’intero Comune di Venezia, precisamente il 9,98%, quindi il Consiglio ammette il referendum riservato solo ai residenti della zona interessata. Questa volta il risultato è positivo e Cavallino Treporti si stacca.

La politica. All’epoca dei primi due referendum (1979 e 1989) la questione della separazione tra Venezia e Mestre era un cavallo di battaglia della destra e dei primi autonomisti. Questo è ancora visibile proprio tra le file separatiste, che contano esponenti della Lega e del centrodestra. Tra le file della sinistra, invece, le posizioni non sono più state così nette.

Il primo a “disertare” fu proprio il politico che era sindaco all’epoca della prima consultazione, Mario Rigo, storico esponente socialista, non a caso nato e formatosi in terraferma (a Noale) e poi diventato sindaco di Venezia dopo l’esperienza in Provincia. La sua posizione autonomista si è accentuata dopo l’abbandono del Psi, nel 1988, e la fondazione della Lega autonomie Veneto.

La storia. Mestre è stato un comune autonomo fino al 1926. Da sempre considerata “la porta di Venezia” era un presidio prima del vescovo di Treviso e poi veronese fino al 29 settembre 1337 quando il comandante Andrea Morosini, corrompendo i mercenari tedeschi di guardia al castello, vi entrò senza battaglia. Da quel momento il borgo divenne “Mestre fidelis”, la porta più fedele di Venezia, motto che venne scritto sul suo scudo formato da una croce d’argento su campo azzurro.

Mestre divenne quindi un “comune” amministrato da un podestà. Il legame con Venezia divenne talmente forte che nel 1848 Mestre formò la sua guardia civica e cacciò gli austriaci prima ancora di Venezia.  Legame che nel 1926 divenne anche amministrativo quando la nuova amministrazione fascista riorganizzò i Comuni italiani, riunendo quelli di Mestre, Favaro, Chirignago e Zelarino a Venezia.

Da 93 anni, quindi, la storia di Mestre e Venezia è tornata ad essere unita amministrativamente. Ma per vederla unita territorialmente (l’unica via di accesso era in barca da Piazza Barche lungo il canal Salso o in ferrovia lungo la vecchia Ferdinandea austriaca) bisognerà attendere il 1933 con la costruzione del ponte Littorio (poi della Libertà) diretto però a Padova e la cui prosecuzione non passava per Mestre. Per questo venne costruito alla fine dello stesso anno il corso Principe di Piemonte (poi corso del Popolo) che arrivava fino a piazza Barche.
 

IL VOTO REFERENDARIO

INSERT SPIEGONE COME SI VOTA / WOCHIT /INFOGRAFICA / SCHEDA E QUESITO

 

GLI SCHIERAMENTI

Come spesso accade per le questioni che riguardano Venezia e Mestre non c’è mai una linea netta sul modo di affrontare le questioni. Così i fronti qui sono tre: astensionisti, favorevoli e contrari.

Favorevoli. Si tratta di un movimento translagunare che ha aumentato la sua forza negli ultimi mesi, specie a livello mediatico. Tra essi la Lega, ma soprattutto la parte del partito che era stata contraria all’accordo in Comune con Brugnaro, ala capitanata dall’ex candidato leghista alle comunali Gian Angelo Bellati.

Tra gli altri rappresentanti il separatista storico veneziano, avvocato Marco Sitran, e il suo collega Marco Gasparinetti, funzionario Ue e fondatore del gruppo “25 Aprile”, entrambi di “parte” lagunare, e Maria Laura Faccini tra i fondatori del gruppo “Mestre mia” per parte di terraferma.

Astensionisti. Astensionista dichiarato Luigi Brugnaro, attuale sindaco del Comune e della Città metropolitana, che aveva ottenuto l’appoggio di Luca Zaia. Appoggio poi ritirato, tanto che quando il Consiglio di Stato ha ammesso il referendum, la giunta regionale ha fissato dopo pochi giorni la data della votazione. 

Per l’astensione anche l’ex sindaco,  Massimo Cacciari: “Una cosa ridicola, fuori dal tempo, un quesito dannoso. A quelli che vogliono ridurre i parlamentari chiedo: perché ora vogliono aumentare a dismisura sindaci, assessori e consiglieri?”.

Contrari. Il più coerente è Gianfranco Bettin, prosindaco di Marghera, sociologo e rappresentante ambientalista e antimafia che ha sollevato per primo il problema dell’inquinamento e che da sempre sostiene che solo terraferma e città d’acqua unite possono risolvere i rispettivi problemi: “Voterò no, perché ritengo che un Comune unito sia più forte, efficace e rappresentativo”.

Fedelissimo di Brugnaro ma contrario per il “no”, invece, il suo assessore alla mobilità, Renato Boraso, ex autonomista poi convertitosi: “I territori e i loro problemi cambiano”.

DUE VISIONI

Su schieramenti opposti ci sono Marco Gasparinetti e Nicola Pellicanii. Le loro storie professionali e il loro percorso politico è molto differente.

Fronte del Si: Marco Gasparinetti: 56 anni, abitante in laguna, funzionario giuridico della Commissione europea a Bruxelles, ma soprattutto fondatore e motore del Gruppo 25 aprile, la più importante piattaforma di dibattito a Venezia. Marco Gasparinetti è schierato per l’autonomia.

L’Anima.

“C’è in tutto il veneto un’anima progressista che ha un’enorme sensibilità per i temi dell’autonomia, anima che la sinistra tradizionale non è stata in grado di cogliere. Non bisogna lasciare alla Lega il monopolio di questa questione”.

Forse per coerenza?

“Sono fra i molti che nel precedente referendum del 2003 hanno votato “No” o si sono astenuti perché credevamo nel progetto delle municipalità, che sono poi state svuotate di ogni competenza dal sindaco in carica. Coerenza vuole che, a questo punto, chi si dice autonomista e progressista ne tragga le conseguenze chiedendo forme più avanzate di decentramento o autonomia amministrativa, che tale non è se può essere cancellata con un tratto di penna dal sindaco di turno.

Cos’è ma soprattutto cosa sarà il decentramento?

“Schematizzando: esiste il piano A, cioè viene raggiunto il quorum e il 2 dicembre vengono sanciti due comuni. Ma noi proponiamo anche un piano B: se il quorum non viene raggiunto ci sono tante cose che si possono fare: si potrebbe a quel punto rispondere rivalutando la figura del prosindaco sul modello del Gaetano Zorzetto che come prosindaco di Mestre nella prima giunta Cacciari ha lasciato un ottimo ricordo. In questo modo il sindaco di Venezia potrebbe occuparsi a tempo pieno di Venezia”.

Voi di 25 aprile siete la piattaforma con più iscritti in assoluto e vi siete schierati per il “Sì”. Ma il voto era alla “Rousseau” o può essere controllato?

“Il voto è nominale perché noi usiamo una piattaforma Facebook e un blog dove si interviene con nome e cognome dopo una registrazione. Quindi il voto è palese e nominativo. Cosa è successo: abbiamo votato due volte e in entrambe la grande maggioranza era per il sì anche se tutti hanno dimostrato di sapere perfettamente che non si tratta della panacea a tutti i mali di Venezia o di Mestre e che il referendum non può essere riconducibile a determinate aree politiche.”.

Se vince il “Sì” sarà la soluzione ai problemi?

“Ripeto, non è la panacea, ma alcuni saranno risolti. Per altri ci vuole una programmazione statale e regionale. Ma quei problemi che sono in capo ai Comuni sarebbero risolti grazie al fatto che il sindaco sarebbe “in mezzo” ai problemi della città. Finora abbiamo avuto un sindaco di Mogliano che nemmeno dopo l’elezione è venuto ad abitare a Mestre o Venezia. Non ha voluto nemmeno toccare i nostri problemi. Straparla ma le sue soluzioni sono illusorie. Faccio due esempi: locazioni turistiche e moto ondoso. Su eventuali limiti alle locazioni turistiche, il diritto di proprietà è blindato dalla Costituzione che a sua tutela ha posto una «riserva di Legge» e non sarà certo un regolamento comunale a poterlo limitare. Il sindaco che adesso scopre il problema chiedendo interventi legislativi allo Stato cosa aveva fatto, nei quattro anni precedenti? Stesso discorso per il traffico acqueo, con un Sindaco che da quattro anni  si tiene la delega e comincia ad affrontare timidamente il problema con ordinanze «sperimentali» soltanto quando un’assemblea autoconvocata delle remiere minaccia azioni clamorose in occasione della regata storica”.

Invece?

“Invece per noi parlano i fatti e non i giochini di prestigio pre-elettorali. Lavoriamo per la città dodici mesi all’anno, lo facciamo dal 2014 e continueremo a farlo chiunque sia il sindaco. L’autonomia amministrativa non è il fine ma lo strumento per migliorare la qualità della vita in due territori che hanno priorità diverse. Ad esempio, il problema per noi centrale è quello della residenzialità: a Venezia serve una terapia d’urto per non scomparire come civitas, sono indifferibili soluzioni vere al problema di una pressione turistica insostenibile dal punto di vista sociale e ambientale, mentre le priorità a Mestre sono diverse e il contributo dell’economia turistica potrebbe anche avere ricadute positive, a patto di non trattare Mestre come dormitorio «low cost» di Venezia.

L’amministrazione Brugnaro è stata così negativa?

“Va giudicata sui temi per cui ha competenza. Le cose facili le ha fatte, negli ultimi due anni soprattutto e sulla spinta delle proteste; è sui grandi problemi che ne denunciamo le carenze perché sembra perseguire soltanto interessi di bottega. In materia di pianificazione urbana e verde pubblico partecipa alla cementificazione selvaggia del territorio, sulla gestione dei flussi turistici in quattro anni abbiamo sentito soltanto chiacchiere. Sui cambi d’uso peggio che peggio, con palazzi di proprietà comunale venduti per farne alberghi, altri alberghi costruiti a ridosso della stazione di Mestre e poi ci si lamenta del pienone? Molti in città si chiedono se questo non coincida casualmente con interessi del gruppo Umana: è un dato di fatto che il gruppo ha più che raddoppiato il fatturato da quando Brugnaro è sindaco, e che i suoi utili vanno a gonfie vele. Ci fa piacere ma in molti si chiedono come mai alcune società che dipendono da concessioni, permessi o autorizzazioni comunali assumano personale stagionale tramite Umana, sponsorizzino squadre del sindaco e facciano convention aziendali alla Misericordia, che è stata data in concessione quarantennale gratuita ad una società di proprietà del sindaco, in cambio dei restauri. E sapete una cosa? Io credo a Brugnaro quando lui dice che non ne sa nulla, avendo organizzato un blind trust, ma penso che molti imprenditori si sentano quasi in obbligo di farlo. Dobbiamo uscire da questa gestione opaca e uno dei mezzi per farlo è che ogni comunità torni ad occuparsi del bene comune eleggendo un suo sindaco e suoi rappresentanti che siano al servizio della città”.

***

Fronte del No: Nicola Pellicani: 58 anni, giornalista professionista, ora consigliere comunale e deputato del Partito Democratico, ma soprattutto mestrino doc, figlio di quel Gianni Pellicani che è stato l’anima di Mestre prima come deputato e consigliere del Pci, poi come primo amministratore dell’aeroporto Marco Polo, costruito con soldi pubblici e da lui amministrato con una bravura certosina tanto da finire gli interventi perfettamente entro la data e il budget fissati in tempi in cui, tanto per citare il Mose, la rapina ai danni dello Stato era cosa normale. Che poi l’aeroporto pubblico, come molte altre cose pubbliche in Italia, sia ora magicamente in mano ai privati è una storia che si deve alle amministrazioni Galan, votate plebiscitariamente dai veneti per tre mandati consecutivi. Della serie: ci sta bene.

“Sono contrario perché dividersi è illogico. Questo referendum è un’iniziativa anacronistica. Guardiamo al resto del nostro continente: in Europa si punta su grandi piattaforme di governo territoriale, perché si è visto che “piccolo è bello” nell’amministrare non esiste.

Le identità. “Identità da difendere. Vanno tutte coltivate, ma questo non c’entra con il governo del territorio. La forza di Venezia è comprendere proprio due realtà divise che insieme formano una grande città. Basta pensare alla città storica, servita da un porto e da un aeroporto sparsi nel resto del territorio comunale”.

Il Referendum. “Chi propone in modo seriale l’istituto del referendum sbaglia nel concetto di democrazia. Ma sbaglia anche se pensa di risolvere i problemi della città dividendola in due entità amministrative. Non è dividendoci in due piccoli comuni che possiamo sperare di risolvere i grandi problemi che dovremo risolvere. Basta pensare anche a uno solo di questi, come ad esempio la gestione del turismo, per capire che l’unica soluzione può venire da un’entità amministrativa unica. Altrimenti entro poco tempo sarà una guerra di pass e dazi dall’una e dall’altra parte. Con due Comuni ci sarebbe solo un appesantimento amministrativo”.

La Città metropolitana. “Uno degli elementi di svolta è la Città metropolitana di Venezia. E’ vero che così com’è è stata pensata male dalla legge istitutiva. Limitarla agli angusti confini della provincia di Venezia è stato un errore quando noi sappiamo che gli effetti attrattivi di Venezia vanno ben oltre. Quindi così com’è ora non permette di gestire correttamente i problemi. Ma è l’unico luogo dove trovare questa necessaria efficacia ed efficienza di governo. Piuttosto è stato un grave errore di questa giunta spogliare le municipalità delle loro funzioni”.

 

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova