Vallerani: «La crisi idrica in Veneto era prevista ma ci ha colti tragicamente impreparati»

Francesco Vallerani, docente di Geografia a Ca’ Foscari. «La progressiva estinzione dei ghiacciai in tutto il pianeta parlava già chiaro». Il futuro: «L’idrovia Padova-Venezia può essere un importante bacino di riserva»
Francesco Jori
Francesco Vallerani, docente di Ca’ Foscari. A destra il lago Fedaia
Francesco Vallerani, docente di Ca’ Foscari. A destra il lago Fedaia

VENEZIA. «È il Covid dell’acqua». Per inquadrare la devastante crisi idrica di quest’estate, ricorre a un’immagine forte Francesco Vallerani, padovano, docente di Geografia all’università veneziana di Ca’ Foscari, dov’è anche titolare della cattedra Unesco sullo sviluppo sostenibile. E spiega: «Come per il Covid, è la prima volta che ci capita un evento del genere. E come per il Covid, ci stiamo dimostrando tragicamente impreparati ad affrontarla».

Ma c’erano segnali, o è una calamità che ci è piombata tra capo e collo all’improvviso?

«C’erano, e come, già da altri Paesi prima ancora che da noi, proprio come con il Covid. Basti pensare alla progressiva estinzione dei ghiacciai in tutto il pianeta, legata ai cambiamenti climatici. Era qualcosa di assolutamente prevedibile».

Veniamo in casa nostra. In un Veneto da sempre terra ricca d’acqua, come si spiega questa siccità estrema?

«Anche qui parliamo di un fenomeno che viene da lontano. Molti fiumi della nostra regione da tempo non possono più contare sul deflusso minimo vitale; si registrano grandi morìe di pesci per mancanza di ossigeno nell’acqua; c’è un eccesso di nutrienti impiegati in agricoltura, che alimenta una proliferazione della flora di alghe e piante a ridosso delle sponde. Ma la siccità rivela altre piaghe…».

Di che tipo?

«Faccio un esempio eloquente. La secca del Tronco Maestro a Padova ha portato alla luce una serie di scarichi abusivi. Paradossalmente, grazie alla siccità si può fare un censimento di chi non è collegato agli impianti di smaltimento …».

Ma dobbiamo prendercela solo con le estati anomale, o abbiamo anche peccati in opere e omissioni?

«Ne abbiamo, e come. Esiste fin dal 2000 una direttiva europea sull’acqua, che stabiliva dei valori ecologici definiti, e dava tempo fino al 2015 per adeguarvisi. Una misura che assegnava tra l’altro un valore anche economico alla risorsa acqua, e che si basava sul principio che chi inquina paga. Purtroppo anche qui, come in altre materie, l’Italia risulta in ritardo, figurando oltretutto tra i pochi Paesi europei negligenti, assieme alla Bulgaria».

All’interno di questo quadro, anche il Veneto ha le sue colpe?

«Certamente. Pensiamo al capitolo critico dell’inquinamento delle falde acquifere, sulle quali è sostanzialmente mancata una politica di controllo sul piano industriale e su quello ambientale, anzi incoraggiando senza tanti scrupoli l’iniziativa privata. Con il risultato di dare vita ad esternalità negative non contabilizzate attraverso l’economia, che si riversano sulla società intera».

Ma oggi, in questa estate che sta battendo ogni record negativo, la situazione è davvero critica?

«Diciamo che alla luce del passato recente c’era da aspettarsi un’emergenza, ma non a questi livelli. Stiamo rotolando ad una velocità incredibile verso una pesantissima perdita di acque dolci. Mai si era assistito in Veneto a un razionamento; in particolare è allarmante la situazione dell’agricoltura, dove ormai c’è acqua disponibile soltanto per pochi giorni».

Alla luce dei dati disponibili, può trattarsi di un fenomeno transitorio limitato a quest’anno, o ci sono da aspettarsi repliche?

«Le variazioni in atto, e soprattutto l’accelerazione che stanno conoscendo in questa estate, ci devono far capire che ormai non si può più parlare di un’anomalia. È un fenomeno generale: da una decina d’anni non possiamo più contare sull’anticiclone delle Azzorre, che riusciva a garantire temperature più miti e schiudeva la porta all’ingresso delle perturbazioni atlantiche. Purtroppo, un’estate come quella che stiamo vivendo si ripeterà in futuro».

Ma in attesa di misure planetarie, che comunque tardano, c’è qualcosa che possiamo fare almeno per mitigare il fenomeno, e per risparmiare acqua in vista delle crisi?

«Sicuramente. Penso ad esempio a vari sistemi di ingegneria idraulica per riuscire a trattenere le acque dei fiumi durante le piene; o alla realizzazione di traverse fluviali, come pure agli interventi per dragare gli alvei a partire già dai piccoli fossi. Poi ci sono dei rimedi di fondo: come smettere di cementificare il territorio, vizio nel quale il Veneto è ai primi posti in Italia».

Ci sono delle inadempienze pubbliche al riguardo?

«C’è, tra le altre, una forte carenza del Genio Civile, che pure è l’odierno depositario di una straordinaria cultura millenaria del Veneto della Serenissima. Purtroppo non c’è dialogo …».

La siccità è figlia conclamata di cambiamenti climatici ormai incontestabili, eppure il contrasto rimane debole. Siamo condannati?

«Gli accordi globali su questo tema sono chiaramente della massima importanza. Ma nel frattempo, è importante adottare decisioni a livello di microcosmo, con interventi mirati sia sul verde che sul blu, per tutelare gli ecosistemi che la Natura ci ha dato gratis. Su questo terreno, esistono possibilità fornite da una branca specifica dell’ingegneria, quella sulla riabilitazione degli ecosistemi».

Ma anche su questo terreno non pare si registri un gran che…

«In effetti c’è una politica ambientale inadeguata ad affrontare l’emergenza. Ricordo qui in Veneto, dopo la disastrosa alluvione del 2010, chi parlava di tolleranza zero… Passato l’allarme, non si è fatto nulla; eppure ci sarebbero interventi possibili, come quello legato all’idrovia Padova-Venezia, che pure rappresenterebbe un importante bacino cui attingere in caso di crisi idrica, oltre che svolgere un’attività specifica come scolmatore di piene».

Dopo quello che sta succedendo, non sarebbe tempo di darsi una regolata?

«In effetti, mai come ora c’è bisogno di una politica territoriale coscienziosa e previdente, in grado di fronteggiare la gravità ambientale e gli esiti deprimenti di un cambio climatico che sta accelerando i tempi di declino generale. Ondate di calore senza fine stanno evidenziando l’insipiente gestione del verde pubblico, dimostrando la scarsa consapevolezza del concetto di “isola di calore urbana”; il persistente inquinamento di ampi settori delle falde sotterranee regionali, le colture di mais in grandi estensioni dei suoli permeabili dell’alta pianura, quindi con forti prelievi di acqua per l’irrigazione, la mancata manutenzione degli alvei della rete idrografica nella bassa pianura, a partire dagli articolati sistemi di fossi, sono solo alcuni tra i più evidenti problemi da affrontare».

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