Stupratore fermato, scarcerato ed espulso: due ricostruzioni ma ancora tanti dubbi

Il gip ha applicato il divieto di dimora al kosovaro che ha violentato una donna a Palestro. È a Gorizia per il rimpatrio

Cristina Genesin
Accusato di stupro, si difende e viene scarcerato. La decisione del gip del tribunale di Padova
Accusato di stupro, si difende e viene scarcerato. La decisione del gip del tribunale di Padova

Fermato dalla Squadra mobile con l’accusa di stupro all’alba di lunedì. Scarcerato due giorni più tardi, nella tarda mattinata di mercoledì, perché le versioni tanto della vittima quanto del carnefice (presunti entrambi, almeno finché non ci sarà una sentenza di condanna in primo grado) sono apparse contraddittorie.

Una boccata di libertà sia pure limitata da una misura cautelare lieve: il divieto di dimora a Padova con il divieto di avvicinarsi a meno di 500 metri dalla donna che lo aveva denunciato. E qualche ora più tardi il 36enne kosovaro Diar Bytyqi è stato trasferito al Cprdi Gradisca d’Isonzo nel Goriziano in vista dell’espulsione disposta a tempo di record dal questore Marco Odorisio. Il motivo? Da 12 anni viveva sul territorio nazionale come irregolare.

Nel frattempo l’inchiesta andrà avanti come indicato anche dal gip Beatrice Alcaro che, pur evidenziando come «il nucleo della contestata vicenda (la violenza sessuale) non appare allo stato scalfito», dopo un’ora di interrogatorio nella casa circondariale Due Palazzi, ha deciso di scarcerare l’indagato sia pure firmando quel provvedimento più lieve.

Non ci sono le esigenze cautelari per il carcere: mai trovata la pistola con la quale la donna sarebbe stata minacciata, non ci sarebbero lividi sul suo corpo e infine non ci sarebbe il rischio di reiterazione del reato perché la signora è in una struttura protetta.

Così il gip ha rispedito al mittente la richiesta del carcere sollecitata dal pm Benedetto Roberti che aveva condiviso il fermo di polizia giudiziaria. E ha disposto la misura più lieve ora superata di fatto dal provvedimento di rimpatrio.

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L’interrogatorio

Ieri il gip ha interrogato Bytyqi, difeso dalla penalista trevigiana Alessandra Nava. E lui non si è sottratto alle domande offrendo una diversa ricostruzione dei fatti. Nessuno stupro, solo un rapporto sessuale consensuale avvenuto il giorno successivo al loro incontro.

L’uomo ha raccontato che, dopo essere uscito dal carcere avendo finito di scontare una condanna a 10 mesi, aveva incrociato la trentasettenne albanese alla fermata del bus diretto verso il centro.

I due – è ancora il suo racconto – sarebbero subito entrati in simpatia scambiandosi i contatti. Quindi nelle ore successive si sarebbero risentiti dandosi appuntamento e girando per la città come avrebbero confermato le immagini delle telecamere di videosorveglianza (agli atti una foto di loro due seduti su una panchina) mentre la signora aveva denunciato di essere stata violentata da uno sconosciuto dopo essere stata inviata a scendere in strada con una telefonata («Mi era stato fatto intendere che mio figlio era in grave pericolo») e costretta a seguire l’aggressore dietro la minaccia di una pistola.

Il sabato mattina i due – ha continuato ancora il 36enne – si sarebbero rivisti per cercare un luogo dove poter restare in intimità: nell’appartamento della signora non sarebbe stato possibile perché c’erano altre persone, tra cui il figlio di lei 18enne già da tre anni in Italia, a quel punto si sarebbero presentati nella casa dell’amica di lui, in via Magenta.

Quest’ultima (che gli aveva affittato un posto letto per 30 euro al giorno) avrebbe però negato il consenso a prestare loro una stanza. A quel punto la coppia si sarebbe diretta nell’ultimo domicilio dell’albanese, sempre nel rione Palestro, prima del periodo di detenzione, di cui lui conservava ancora le chiavi.

I due sarebbero rimasti qui neanche un quarto d’ora perché la signora avrebbe ricevuto la telefonata del figlio che chiedeva alla mamma di rientrare a casa.

«Le ho chiamato un taxi, lei si è irritata, accusandomi di volerla lasciare da sola, era visibilmente arrabbiata e si è allontanata a piedi. Durante il giorno e anche la domenica ho provato a richiamarla più volte ma non mi ha mai risposto al telefono», è stata la difesa dell’uomo. Per questa ragione al rientro in via Magenta avrebbe detto all’amica «ho fatto una cazz...» con riferimento al fatto di aver mollato in strada la 37enne che si sarebbe arrabbiata per il trattamento.

La sera stessa la donna ha presentato la denuncia. E lunedì alle 7 di mattina la Squadra mobile si è presentata nell’alloggio dove il trentaseienne aveva trovato ospitalità, facendo scattare il fermo per sequestro di persona e violenza sessuale.

Il provvedimento del giudice

Il giudice ha concluso sulla necessità di approfondire le due versioni. Nella denuncia la donna, arrivata da qualche mese in Italia per sfuggire a maltrattamenti e violenze del marito, aveva ipotizzato che l’ex consorte fosse il mandante dello stupro.

Il gip Alcaro ha rilevato che non sarebbe sostenibile allo stato degli atti che si tratti di una «vendetta mediata» dall’ex. A suo giudizio sarebbe inverosimile che Bytyqi, appena scarcerato, potesse essere in possesso del numero di telefono della signora e fosse pure a conoscenza dell’esistenza del figlio. Il kosovaro ha insistito: «Ci eravamo conosciuti il giorno precedente al rapporto sessuale», fatto negato dalla signora.

Il gip ha rilevato che, pur assegnando una maggiore verosimiglianza al racconto di lui sul punto, la 37enne potrebbe aver forse aver taciuto per vergogna o per non incrinare la sua credibilità. E non ha escluso che possa pure aver cambiato idea rispetto a un contatto intimo.

L’incontro fra un uomo e una donna e due ricostruzioni opposte. La verità starà da qualche parte. Ma, al momento, non è chiaro dove.

Secondo il giudice non c’erano i presupposti per la detenzione in carcere pur riconoscendo nell’indagato «un’indole violenta e una certa pervicacia». Tuttavia la 37enne avrebbe taciuto i dettagli del loro primo incontro. Ecco perché, anche se l’impianto accusatorio resta in piedi, il gip conclude che servono ulteriori verifiche.

Commenta l’avvocato Nava: «Traspare che la signora ha fatto un racconto parziale almeno dal punto di vista della genesi del loro incontro. Lei dice di essere stata minacciata con un’arma mai trovata. Dice che il mio cliente ha consumato cocaina mentre non risulta in alcun verbale che gli sia stata sequestrata della droga. E ancora il tassista, che li avrebbe accompagnati nella casa della violenza, riferisce che a bordo dell’auto lui parlava ad alta voce e lei piano. E che l’uomo dava l’impressione di essere un cattivo. Mettiamo in carcere una persona sulla base delle impressioni?».

Attualmente il personale della struttura di protezione dove è ospite conferma che la donna, con un vissuto alle spalle di gravissime violenze domestiche, appare traumatizzata.

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