Zaia sul test di accesso a Medicina: «Formazione più veloce e over 70 attivi nel pubblico»

Il presidente del Veneto: «La sanità ha bisogno di tutti. Ho fiducia nei ragazzi, vanno ascoltati di più.

Dico no a questi esami di ammissione, il vero chirurgo lo vedi sul tavolo operatorio»

Simonetta Zanetti
Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, interviene sul test per l'accesso a Medicina
Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, interviene sul test per l'accesso a Medicina

«La nostra sanità ha bisogno di tutti per garantire risposte». Nel primo giorno dedicato al test di ingresso a Medicina, Luca Zaia non si fa tentare dal fascino del giovanilismo, né cede alla seduzione della nostalgia per un tempo che, per altri sul fronte opposto, sta per finire. Il governatore guarda quindi il presente, immaginando il futuro.

Presidente, test partecipati: si comincia a scrivere un nuovo capitolo per la sanità.

«Questi ragazzi sono eccezionali, più bravi di noi alla loro età. Hanno un livello di connessione e conoscenza del mondo diverso da noi, figli dell’enciclopedia a rate. Ho una grande fiducia nelle nuove generazioni e credo che avrebbero bisogno di una maggiore rappresentanza politica, andrebbero ascoltate di più. Per me questi ragazzi sono eroi: a fine maggio il primo test d’ingresso, il 19 giugno la maturità e il 30 luglio il nuovo test. Dopodiché io sono totalmente contrario ai test di ammissione. Il vero chirurgo non lo vedi nel test, ma in sala operatoria. Si torni al vecchio sistema che, pur molto selettivo, garantiva a tutti di poter provare, con lo sbarramento al secondo anno».

In questo modo però ci sarebbe un problema di infrastrutture: aule, laboratori...

«Se si vuole, una soluzione si trova sempre, si potrebbero cercare mega aule da destinare al primo anno. Ricordiamo che dalla generazione entrata senza sbarramento non sono usciti scappati di casa, ma grandi scienziati e chirurghi. Io sto dalla parte del popolo: tutti devono poter provare. Senza considerare che stiamo parlando di domande di accesso inutili. Al solito, siamo l’ufficio complicazioni affari semplici. Forse dovremmo guardarci intorno di più, ai Paesi vicini, dove non c’è una formazione lunga come la nostra, i ragazzi cominciano presto a lavorare in ospedale, c’è grande mobilità. Non sono contrario alle scuole di specialità, sia chiaro, ma sono anche quello che nel 2018 ha assunto 300 medici non specializzati e mi domando come avremmo fatto oggi se non avessimo agito così. In Veneto mancano 3.500 medici ma in un anno siamo riusciti a passare da 120 mila galleggiamenti a 18 mila».

Cento minuti per 60 domande: a Padova la carica dei tremila per 530 posti a Medicina
Il test di Medicina a Padova

Molti giovani affrontano il test già con l’idea di andarsene all’estero, non è un buon segnale.

«Dei 3.500 che vanno all’estero tra i 18 e i 34 anni non sappiamo se raggiungano un fidanzato, lo facciano per formazione, problemi economici o scappare dai genitori. Facciamo i conti con un mondo più piccolo di una volta: la Germania non è messa meglio, in Spagna la mobilità è il doppio che da noi. Il problema non è l’estero, ma capire se andarci sia una necessità o una scelta: dobbiamo ascoltare i ragazzi. Oggi per formare un medico servono 6 anni di Università cui si aggiunge la specializzazione, si rischia di finire fuori mercato. Ed è necessario raccontare tutta la verità: sono 2-3 su mille quelli che fanno una bella carriera all’estero e negli Stati Uniti, dove costa un milione formare un medico, lavorano in cliniche private. Quindi, quantomeno, cerchiamo di essere orgogliosi della nostra formazione. E avere fiducia nei giovani che devono trovare le porte spalancate e poter essere selezionati sul campo».

Dopodiché si può sempre migliorare. Ad esempio dove?

«Io non sono un addetto ai lavori ma chi lo è parla di necessità di contrarre i tempi. In Europa i corsi universitari durano meno e i giovani sono pronti prima a misurarsi con la professione».

Rispetto agli Stati Uniti qui c’è però anche il rischio di arrivare al tavolo operatorio e fare l’assistente a vita.

«Le gerarchie esistono dappertutto. Ci sono chirurghi che valorizzano anche i junior, altri lo fanno poco. Ma è un tema personale, non strutturale».

Dall’altro capo della professione c’è il dibattito sull’aumento dell’età pensionabile a 72 anni. Lei si è detto più volte favorevole, conferma?

«Ragionando da amministratore delegato di un’azienda direi che agli output non corrispondono gli input. In mancanza di lavoratori qualunque azienda si terrebbe quelli che ha, mica chiudi le fabbriche. Ricordo che durante il Covid sono stato io a fare la battaglia per alzare l’età pensionabile degli ospedalieri da 65 a 70 anni. Stiamo parlando di medici su cui il sistema ha investito un patrimonio per team, attrezzature, formazione. Vorrei che mi spiegassero perché dovrebbe andarmi bene che a 70 anni i grandi ci lascino per andare a lavorare nel privato».

Il tema è economico, e c’è chi, su questo, le chiede di intervenire.

«La legge è nazionale ed è su quel tavolo che bisogna lavorare fino a quando il tema sarà la mancanza dei medici. Io questo posso fare, non posso intervenire su demansionamento o questioni economiche. E resta il fatto che ci sono tanti medici che chiedono di restare, anche medici di famiglia. Né capisco perché i nostri 70enni siano inadeguati, quando ci sono intellettuali di cento anni che vengono ascoltati perché dicono cose interessanti».

Tra gli universitari c’è anche chi si dissocia dalle battaglie per restare.

«Stiamo parlando di libera scelta. Ma c’è anche chi è rimasto lavorando gratis per un anno e sono tanti anche quelli che ancora chiedono di farlo per condividere il loro sapere».

Chiudendo, cosa serve alla sanità per trovare la quadra?

«Bisogna trovare un modo per tenere i senior, come forma di riconoscenza ma anche di tutela dell’investimento e formare i giovani più velocemente mettendoli in condizioni di lavorare. Chi fa il test d’ingresso oggi è cresciuto con le Terapie Intensive riempite dal Covid e credo che sarà una generazione di medici eccezionali. Ma la nostra sanità ha bisogno di tutti: voglio che quando il cittadino suona un campanello trovi una risposta. Del resto quando ti si rompe la macchina non chiedi l’età del meccanico».

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova