Zucchero a Padova, una carezza che infiamma i cuori

Eddy Stefani, vincitore del concorso, con Zucchero
Eddy Stefani, vincitore del concorso, con Zucchero
In chiusura di ogni data del "bluesugar Tour" del 1999, Zucchero lasciava il palco appoggiando il suo cappello sull'asta del microfono e salutando la folla con un "Dove poso il mio cappello, quella è casa mia". Evidentemente di copricapi l'Adelmo nazionale deve averne lasciati parecchi a Padova, poichè spesso la città del Santo viene scelta come apertura o chiusura dei suoi viaggi musicali. Esattamente un anno fa avveniva il finale ufficiale del "Fly World Tour", mentre quello di sabato 06 dicembre è stato il concerto che ha aperto le danze a "Live in Italy", un minitour di poche date per promuovere la recente uscita discografica che porta lo stesso titolo.


E' stata un'esperienza lunghissima e massacrante, mai tanto intensa nella sua ormai trentennale carriera; ma i numeri parlano da soli:207 concerti 5 volte il giro del mondo 301.727 chilometri percorsi 120 biglietti per voli intercontinentali 196 biglietti per voli europei 145 biglietti per voli interni (Italia) 30 voli charter 328 jet 5 camion 2 sleeping bus 80 persone al seguito, incluso musicisti e tecnici. Due mesi fa partecipavo al raduno del Fan Club, una festa speciale per i suoi amici in cui si è intrattenuto sul palco circa 3 ore snocciolando hit italiane e straniere degli anni '60 accompagnato da chitarra acustica e pianoforte. A fine serata, lasciando tutti a bocca aperta, annuncia l'aggiunta di una manciata di date invernali tra cui Padova. La folla si abbraccia, nessuno ne era a conoscenza ed inizia in conto alla rovescia.


Ho la fortuna di incontrarlo in camerino dopo un'attesa lunga 21 anni, le gambe che tremano, la voce rotta dall'emozione; lui sta lì, mi fissa e allunga la mano. Non è la mano della rockstar, ritrosa e infastidita. E' la mano di un contadino emiliano, una mano che ha lavorato sodo, che ha subito sconfitte e che alla fine ce l'ha fatta. Tutto ciò non ha mai intaccato l'animo di Adelmo Fornaciari, che è rimasto semplice e coi piedi ben piantati per terra. "Più badili e meno divi" cantava anni fa, tanto per chiarire il suo concetto di showbiz. La conferma l'ho riavuta sabato sera al Palanet: alle 18 già 200 persone stavano in coda in attesa dell'apertura dei cancelli, temperature artiche ma spiriti bollenti.


Mi presento alla cassa accrediti per ritirare i miei pass speciali vinti grazie al concorso indetto dal "Mattino di Padova" (il mio nickname era
sugarisme
) ed entro. Mi avvicino al backstage dove mi attende la sempre gentilissima Francesca (compagna nella vita del bluesman) che mi apre le porte del camerino dell'artista. L'odore di incenso ed i mille colori di quella che è una via di mezzo fra un baldacchino ed un harem mi colpiscono intensamente, sembra quasi il gran bazaar di Istanbul! Adelmo è nuovamente lì, maglietta nera, giacca e immancabile cappello a falda larga; il suo sorriso è solare e benevolo, foriero del gran boato che fra pochi minuti lo attende.


Non vede l'ora di abbracciare il suo popolo e regalargli ciò che merita: 2 ore e mezza senza soluzione di continuità in un caleidoscopio di blues, soul e ballate struggenti. gli consegno un nuovo cappello (datomi da un'amica comune, Cecilia di Roma, che gestisce un negozio dove il nostro spesso acquista capi di scena), e lui si commuove.


Entra in scena e adesso è invece il pubblico a commuoversi: partenza in grande stile su di un palco old-fashioned style con Iruben me, ballata del 1987. E proprio l'audience patavina ha potuto godere per prima del nuovo singolo radiofonico "Una carezza", dedicata alla madra Rita Bondavalli. Il trono rosso ornato di corna su cui siede è imponente, così come la voglia del cantautore di alzarsi ed avvicinarsi alle prime file prospicienti lo stage; così, dopo Occhi e Tutti i colori della mia vita, tutti iniziano a ballare sulle note di Bacco perbacco, primo singolo estratto dal fortunatissimo album Fly.


Si danza, si urla, si canta per un totale di ben 28 brani e quasi tre ore di spettacolo. Il momento magico e più intenso, come da copione, è quella bellissima Diamante scritta a quattro mani con Francesco de Gregori.C'è spazio anche per canzoni che da anni mancavano dal repertorio live come Rispetto, Pippo ed Hey man; ma il delirio collettivo si rende palpabile quando lo raggiunge la sezione fiati e si parte con l'incipit di Con le mani.Gli spalti tremano, tanto è il desiderio di muoversi del pubblico. Overdose, Il mare, Solo una sana lasciano tutti senza un attimo di respiro.Diavolo in me diventa un'orgia di mani levate verso Zucchero, un campo di grano mosso dal vento, ottomila braccia che tengono il tempo.


Miserere termina con la dovuta standing ovation dedicata al Maestro Pavarotti ed il gran finale è delegato al funky gallo di Per colpa di chi? La band che lo ha seguito per 2 anni è ormai a livelli altissimi: Polo Jones (basso) e David Sancious (tastiere) sono ormai le sue spalle storiche; Adriano Molinari (batteria) picchia alla grande; Mario Schilirò e Kat Dyson alle chitarre regalano emozioni una dopo l'altra. Zucchero lo sa bene e soddisfatto se la ride sotto i baffi. Attendiamo fiduciosi il suo prossimo lavoro in studio e speriamo che Padova diventi il chiodo a cui deciderà sempre di appendere il suo cappello.

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova