Renzo Piano: «Costruire, gesto di pace. E così all’Arcella sì è accesa una scintilla»

L'architetto ha riunito al Senato i ragazzi che sostiene con borse di studio. «Piccole opere per dare speranza: come tante gocce, poi diventano un mare»

ROMA. Dice che è «una follia», questa scelta di costruire tante piccole cose in giro per l’Italia, con cantieri rapidi, leggeri, che arrivano presto al traguardo. Ma è una follia misurata, calcolata, «perché alla fine di questi progetti c’è sempre qualcosa che resta» e perché, in tutti i casi, «costruire serve a dare speranza, e la speranza vince contro ogni paura». Certo, suona strano che a fare l’elogio delle piccole opere sia Renzo Piano, l’archistar che ha progettato il grattacielo The Shard a Londra e il Pompidou di Parigi e l’aeroporto di Osaka e il Nemo di Amsterdam e che ha ricostruito Postdamer Platz a Berlino solo per citare qualche suo lavoro da una lista infinita. Eppure il messaggio è questo: la vera rivoluzione, se una rivoluzione è possibile, nasce così, con lavori quasi invisibili ma che hanno la forza di innescare un cambiamento.



L’INCONTRO

Per questa «festa di compleanno» - così la definisce Piano - la sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, Senato della Repubblica, è piena di ragazzi. Sono passati sei anni e qualche settimana da quando l’architetto ha accettato la nomina a senatore a vita. «Al tempo mi chiesi che senso avesse», racconta, «e mi confrontai con il maestro Abbado, che aveva ricevuto la stessa proposta da Napolitano. Abbado mi disse: promuoverò scuole di musica. E allora io mi sono detto: farò qualcosa per le periferie». Un sacco di progetti dopo, l’architetto-senatore è sempre più convinto di aver imboccato la strada giusta. E questa certezza si è rafforzata a Padova, all’Arcella, dove il suo team del G124 – con tre neo laureati del dipartimento Icea dell’Università, guidati da professor Edoardo Narne – ha lavorato intensamente nell’ultimo anno, prima sistemando gli spazi del patronato della parrocchia di San Carlo, poi ideando il progetto “tre in uno” che porterà alla costruzione di un bike center, una piazzetta e una sala civica sospesa nello spazio davanti al multipiano Central Park, fra corso Tre Venezie e via Annibale da Bassano, al Borgomagno.



LA SCINTILLA

«Le periferie sono fabbriche di desideri», dice Piano. «L’80 o 90 per cento delle persone vive lì e trovo che gli aggettivi denigratori con cui vengono descritte siano quasi sempre ingiusti. Sono luoghi pieni di energia e di bellezza». Quello che serve – e che il cantiere G124 sta facendo, a Padova ma anche a Milano, a Siracusa e a Roma, dove sta nascendo una casetta per l’affettività nel ramo femminile del carcere di Rebibbia, perché le mamme possano stare con i loro figli – è ricucire i margini con il centro. È un lavoro artigianale, silenzioso, che si compie a sipario chiuso, con pazienza. Ma per una volta Renzo Piano ha deciso che questo lavoro dovesse essere raccontato e celebrato. «Abbiamo percorso l’Italia e con tanti piccoli cantieri abbiamo dato un messaggio alla politica: costruire è un gesto di pace, di bellezza, in cui tutti si ritrovano. È un gesto che appartiene al terreno, ai sentimenti, alle persone. E, appunto, si può fare anche in piccolo». Accanto a lui siede Francesca Memo, una dei tre borsisti del Dicea di Padova (gli altri sono Alberto Michielotto e Marco Lumini) che lui ha “stipendiato” con i fondi da senatore a vita, perché in questo consiste il progetto. Piano accarezza i ragazzi con le parole: «Hanno passato un anno all’Arcella. Hanno acceso una scintilla ed è quello che serve per mettere in moto le cose. Abbiamo lavorato in una sacrestia, ma non c’è niente di sorprendente. È bello mischiare, i progetti non sono laici né sacri, semplicemente creano luoghi di incontro perché le persone hanno bisogno di piazze reali per trovarsi».



I GIOVANI

Edoardo Narne racconta come è nato questo ultimo anno di G124, che ha coinvolto quattro atenei ma che Padova ha vissuto in prima fila. «All’inizio mi sembrava un controsenso che le università, che sono il luogo della teoria, si mettessero a costruire, invece l’intuizione di Piano si è rivelata azzeccata. L’Arcella è stata la nostra seconda aula, abbiamo ascoltato il quartiere, ne abbiamo intercettato le esigenze». «E siamo arrivati a creare una coesione intorno ai nostri progetti», aggiunge Francesca Memo. «Questo ci ha permesso di capire le aspirazioni di chi vive nel quartiere». Piano cita gli antichi greci, lo farà più volte nel corso del pomeriggio: «Quando uno veniva scelto per amministrare la cosa pubblica ad Atena prometteva: vi restituirò la città un po’ più bella di come l’ho ricevuta. Ecco, questa dovrebbe essere la missione degli amministratori. Noi stiamo provando a dare un messaggio, questi ragazzi sanno guardare al futuro con speranza. Viviamo in un paese bellissimo ma fragile, dovremmo essere capaci di avere un progetto che duri trenta o quarant’anni per risolvere i problemi. C’è bisogno di ricucire, di rammendare il territorio che ha tanti problemi geologici, idraulici». Piano affonda il colpo: «Ci sono i ponti che crollano e non avrebbero diritto di farlo, è una tragedia. E certo, non si salvano le periferie solo con il rammendo. Ma io non so bene come fare e allora dico: facciamo tante piccole cose, come tante gocce. Che poi diventano un mare. E magari è anche un mare pieno di sardine».

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