Le mafie in Veneto e la fine dell'innocenza: la nostra
E’ la fine dell’innocenza, in un certo senso. La fine del disinganno e della dicotomia autoassolutoria, quella del noi-voi. Loro, i cattivoni mafiosi, da una parte. Noi, veneti onesti e laboriosi, dall’altra. Basta scorrere il lungo elenco dei nomi contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare per comprendere il reticolo di alleanze, di complicità, di convenienze reciproche.
E chissà che i veneti, come accadde nel 2015 agli emiliani, non riescano a prendere finalmente consapevolezza di quello che scriviamo da anni, non “vox clamantis in deserto” ma quasi. E cioè che le mafie in Veneto hanno ormai solide radici, e che hanno saputo costruire un terreno fertile grazie a chi non ha visto, o meglio grazie a chi non ha saputo vedere o non ha voluto vedere.
Il tessuto economico è sano, la cultura del lavoro e il senso civico dei veneti non sono in discussione: ma devono essere attivati contro la cancerogena aggressione delle mafie.
Eraclea conferma un teorema ormai consolidato nell’analisi dei territori del Nord colonizzati dalle mafie: piccolo è bello. Facile mimetizzarsi nei piccoli comuni, facile partire da lì. In Liguria, in Piemonte, in Lombardia è andata così. Per non parlare di Brescello, primo comune del Nord sciolto per mafia.
Un vasto reticolo di alleanze, la capacità di intimorire da un lato e blandire dall’altro. Bastone e carota, insomma. Fa impressione leggere l’elenco dei capi d’imputazione perché praticamente non resta fuori nessuna attività criminale. Dal riciclaggio alle estorsioni, dalla droga alla prostituzione, c’è dentro di tutto. La “locale” dei Casalesi nel Veneto Orientale era una holding multiservizi, che accanto alle attività più naturalmente riconducibili alle mafie (pizzo, spaccio, riciclaggio) gestiva una filiera di recupero crediti (con quale pervasività, potete immaginare), di fornitura di manodopera, di fiscalità per così dire agevolata.
La rete era estesa, più che di rapporti con i colletti bianchi verrebbe da dire che qui si debba parlare di un solido radicamento nel tessuto sociale ed economico di un’intera area, che sembra così scoprire solo oggi la sua intrinseca fragilità e che ora rischia l’effetto onda perché in quel territorio ci sono altri Comuni sotto la lente, altri sindaci non esattamente al di sopra di ogni sospetto.
Qui c’è l’inquinamento di tutto un tessuto connettivo. Della politica, con l’elezione artefatta di un sindaco. Della libera concorrenza, con il tessuto economico sano preso al laccio. Delle coscienze, aspetto che potrebbe sembrare vagamente moraleggiante ma che nasconde il problema vero: va attivato un autentico e vigile baluardo civile, in questo Veneto.
Rispetto al terremoto Aemilia, qui possiamo cogliere un aspetto diverse, e peculiare: la camorra che aveva colonizzato il Veneto Orientale non ha conquistato il resto del territorio. La ‘ndrangheta di derivazione emiliana (con la “filiale” della cosca Grande Aracri) imperversa a Verona e Vicenza. Spartizione di territorio, ma anche di business: sono le “mafie liquide” che da mesi stiamo cercando di raccontarvi.
Oggi, è una piccola vittoria civile anche per noi.
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PER APPROFONDIRE
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