Veneto, così i robot spingono gli elettori verso la destra
Il lavoratore che vive direttamente, o anche solo percepisce, la minaccia di essere sostituito da un robot, tende a scegliere la destra
Fra i temi trascurati in questa campagna elettorale ce n’è uno che, in realtà, sta giocando un ruolo importante negli orientamenti di voto: l’innovazione tecnologica. Un recente studio condotto da tre ricercatori italiani e pubblicato nella prestigiosa rivista dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti (PNAS), documenta in modo accurato come la diffusione di robot industriali in Europa abbia contribuito alla crescita del consenso politico a favore della destra.
Più precisamente lo studio analizza gli effetti sui comportamenti di voto dell’esposizione individuale all’automazione, mettendo in luce come il lavoratore che vive direttamente, o anche solo percepisce, la minaccia di essere sostituito da un robot, tende a maturare molto più della media della popolazione sentimenti politici radicali – sciovinismo, attaccamento ai valori più tradizionali, avversione contro gli immigrati – oggi rappresentati dalla destra. Risultati analoghi erano stati osservati da indagini svolte negli Stati Uniti.
La ragione di questi atteggiamenti non è difficile da spiegare: il pericolo di vedere il proprio lavoro sostituito dalle macchine non crea alle persone solo un problema economico, ma un senso di incertezza e, soprattutto, di perdita dell’identità sociale e professionale, che produce sentimenti ben più radicali.
Sarebbe sbagliato sottovalutare questo fenomeno. La radicalizzazione politica, sintomo dell’indebolimento della classe media, rischia infatti di scavare un solco all’interno delle democrazie. Come ha infatti mostrato un’altra ricerca condotta da un team dell’Università Ca’ Foscari sulle imprese manifatturiere del Veneto (pubblicata su Economia&Lavoro), laddove sono stati introdotti sistemi di automazione e intelligenza artificiale, tende a ridursi la tradizionale componente di operai qualificati a scapito di una polarizzazione lavorativa che vede, da una parte, manager e tecnici super-specializzati, dall’altro figure esecutive poco qualificate, in quanto l’intelligenza incorporata nelle macchine può richiedere, paradossalmente, mansioni più banali.
La risposta a questi processi non può essere bloccare l’innovazione tecnologica, bensì provare a governare i suoi sviluppi con l’obiettivo principale di migliorare le condizioni dei lavoratori, non di sostituirli.
Ciò comporta agire su almeno tre piani. Il primo è quello del welfare, dove non demonizzare il reddito di cittadinanza, ma accompagnarlo a investimenti molto più consistenti in istruzione di qualità e formazione continua. Il secondo è quello della fiscalità, per trasferire le imposte dalle persone ai grandi patrimoni immobiliari e finanziari, oltre che ai Big-tech. Il terzo è quello della democrazia industriale, dove i lavoratori devono essere maggiormente coinvolti nei processi decisionali che riguardano l’innovazione, ma allo stesso tempo devono sentirsi co-responsabili dei risultati dell’impresa.
Temi difficili da affrontare in campagna elettorale. Ma rinunciare a farlo significa lasciare campo libero ai robot di radicalizzare il voto. —
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