Elezioni politiche 2022 in Veneto: dopo oltre un decennio la Lega è al bivio. L’incognita del cambio di leadership

Il partito di Salvini potrebbe perdere la posizione di vertice a favore di Fdi. Ma anche Letta e Calenda daranno battaglia

Filippo Tosatto

È l’epilogo di una sfida elettorale estiva senza precedenti nella storia repubblicana. È il laico giorno del giudizio riservato ai partiti e ai movimenti che animano la nostra democrazia. Al riguardo, lo storico Gaetano Salvemini definiva la classe politica per il 10% migliore, per il 10% peggiore e per l’80% uguale al Paese che rappresenta; se cosi è, oggi ci avviamo alle urne in un clima di confusione e incertezza, che alla coscienza delle criticità all’orizzonte – tra tutte, il conflitto russo-ucraino e i suoi corollari depressivi nel circuito dell’economia, del lavoro e dei consumi di massa – abbina l’impotenza a concepire soluzioni condivise di lungo periodo.

Nel Veneto, il voto odierno assume poi le peculiarità proprie di una regione dinamica e inquieta, delusa dai tradizionali partiti di riferimento e allergica alle derive assistenziali di uno Stato centralista afflitto dal terzo debito pubblico del globo. Una crisi belluina e per molti versi inspiegabile ha affondato le speranze riposte in Mario Draghi, caricando di incognite la fase attuativa del Pnrr, ultimo treno utile ad una modernizzazione vitale a contrastare il declino. A contendere il favore degli elettori è anzitutto il centrodestra: storicamente maggioritaria nella “piccola patria serenissima”, oggi la coalizione è favorita nella corsa al governo del Paese ma la redistribuzione del consenso tra gli alleati minaccia di innescare conflitti potenzialmente esplosivi.

Perché la Lega bifronte, che si aggrappa alla popolarità di Luca Zaia ma sconta la sfiducia nella linea di Matteo Salvini e dei suoi colonnelli locali, avverte come una ferita bruciante l’incombente sorpasso di Fratelli d’Italia, espressione di una destra a vocazione statalista, che alla sospirata autonomia – la terra promessa del Carroccio nostrano – antepone il culto del tricolore e della Capitale, additando nel presidenzialismo, non già nel federalismo differenziato, il traguardo istituzionale prioritario.

Nell’attesa, la disillusione padana sembra gonfiare le vele ai seguaci di Giorgia Meloni, che insidiano il campo leghista e quello azzurro (Forza Italia affronta il voto orfana di un padre fondatore quale Renato Brunetta) mentre c’è curiosità intorno al battesimo del fuoco di Noi Moderati. Altrove inconsistente, alle nostre latitudini il cartello centrista conta sulla popolarità del sindaco veneziano Luigi Brugnaro, alfiere di un pragmatismo liberale gradito al ceto medio.

A corteggiare il popolo delle partite Iva e delle professioni ci prova anche il terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi, che rivendica una credibilità negata ai competitor maggiori e insidia, su opposti versanti, il superstite consenso berlusconiano e il bacino riformista del Pd. Quest’ultimo ha schierato a Vicenza il segretario Enrico Letta, alternando vecchie glorie e giovani sul territorio: ringalluzziti dai test amministrativi di Padova e Verona, i dem provano a intercettare l’esigenza diffusa di stabilità e competenza pur scontando un’inveterata estraneità al sentiment di un Veneto profondo che detesta tasse, burocrazia e microcriminalità diffusa.

Ancor più in salita, la corsa del M5S a trazione sudista, progressivamente sparito dal radar di una regione che pure – da Sarego a Mira – ha regalato al movimento i primi sindaci d’Italia. Nelle consultazioni precedenti la diaspora grillina ha premiato soprattutto la Lega. Facile pronosticare che stavolta molti delusi amplieranno il perimetro dell’astensione.

Che altro? In virtù della riforma costituzionale, il Parlamento che oggi concorreremo ad eleggere avrà un numero di deputati e senatori sensibilmente ridotto rispetto al passato, e se la circostanza non suscita particolari rimpianti, resta il dispetto per la persistenza di una legge elettorale vorace, che sottrae ai cittadini il diritto di esprimere la preferenza circa i candidati e consente alla Casta (nel caso di specie, i caporioni di ogni colore che confezionano le liste) di opzionare in partenza gran parte degli eletti. Ci resta però un “proiettile magico”, il tratto sulla scheda capace di decretare vincitori e vinti. Non sprechiamolo.

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