L’entomologo forense che risolve i crimini con gli insetti

Stefano Vanin, trevigiano, 53 anni, si è occupato di Yara Gambirasio, Giulia Cecchettin, ma anche di San Leopoldo. La sua passione: le mosche blu. «Il bostrico? Fa pulizia di boschi malati e stressati»

Alessia De Marchi
Stefano Vanin, 53 anni, entomologo abita a Treviso e insegna a Genova
Stefano Vanin, 53 anni, entomologo abita a Treviso e insegna a Genova

L’agenda, rigorosamente digitale, è fitta fitta: gli appuntamenti sono scansionati al minuto. «Beh», precisa, «mi concedo un respiro di 5 minuti, giusto per gli imprevisti».

È così che Stefano Vanin, trevigiano, 53 anni compiuti il giorno della Festa della Repubblica, riesce a destreggiarsi tra i mille impegni e trovare qualche buchetto per un giro in bici, una serata con gli amici, due passi in montagna, la spesa, .... Del resto una star dell’entomologia forense com’è lui è super richiesta: perizie e consulenze in tutta Italia. Ovunque, dove il crimine chiama. Grazie allo studio degli insetti, Vanin, biologo con una brillante laurea a Padova, contribuisce a risolvere misteri insoluti e delitti in cerca di colpevoli.

Ha lavorato a casi giudiziari che hanno riempito le cronache degli ultimi decenni: Yara Gambirasio, Elisa Claps, Melania Rea, Viviana Parisi... Recentemente è stata richiesta la sua consulenza per il femminicidio di Giulia Cecchettin. «Ora sono nel pool di esperti che si sta occupando del caso di Liliana Resinovich, la triestina trovata morta nel gennaio 2022 in un boschetto dell’ex ospedale psichiatrico».

Le consulenze sono così tante che a volte gli sfugge persino il nome della vittima. «Sto lavorando al caso della donna sarda il cui cadavere è stato ritrovato in un borsone». È Francesca Deidda, la quarantaduenne di Cagliari impiegata in un call center, per la cui morte è in carcere il marito.

Come contribuisce alle indagini?

«Come entomologo forense vengo chiamato a studiare gli insetti che si ritrovano sul luogo del delitto o sui corpi delle vittime. La loro presenza fornisce mille informazioni: spostamenti, posti, tempi. Gli insetti sono testimoni silenziosi e io li faccio “parlare”. Anche attraverso le larve, possono dirci se in quel luogo c’era un corpo poi rimosso e portato altrove. Cerco gli insetti tipici di un cadavere, da cui posso ricavare il dna della vittima di cui si sono cibati».

Si occupa solo di delitti?

«No, sono stato chiamato anche per santi e beati. O per soldati morti al fronte. Ho partecipato a numerosi studi legati alle ispezioni canoniche su santi e beati come San Leopoldo Mandić a Padova, San Davino di Lucca, San Mercuriale a Forlì ma anche la beata Veronica Bava o Bonaventura Cerretti, un fraticello benvoluto in quei del Monferrato».

E nei casi di santi e beati cosa può scoprire?

«Lo studio degli insetti può permetterci, ad esempio, di datare la stagione del decesso e altri eventi accaduti dopo la morte e, quindi, confermare che quelle sono proprio le reliquie di quel santo. E ancora si possono stabilire le cause della morte, è un lavoro di squadra con altri specialisti: antropologi, botanici, medici legali e archeologi.

Molto interessante è stata poi l’indagine che abbiamo condotto sui soldati morti sull’Altipiano dei Sette Comuni durante la Grande guerra nel tentativo dare un’identità a tanti dispersi e militi sepolti in fosse comuni».

Da quando è appassionato di insetti?

«È un amore che parte da lontano. I miei genitori Carla e Dorino, che non c’è più, mi hanno trasmesso la passione per la montagna. Gli scout quella per lo studio degli insetti. Tutto è iniziato con una ricerca per un’impresa di squadriglia su questi affascinati animali a sei zampe».

C’è un insetto che preferisce?

«Difficile rispondere. Forse il cosiddetto moscone blu o le mosche senza ali che vivono sulla neve. Ogni insetto è una creatura incredibile».

E del bostrico che sta devastando i nostri boschi cosa pensa?

«Sgomberiamo il campo dai pregiudizi. Sta solo accelerando la naturale rigenerazione del bosco. C’è sempre stato. Attacca piante malate e sotto stress, facendo spazio a una nuova vegetazione. La monocoltura degli abeti rossi è stata imposta dall’uomo nel dopoguerra.

Prima il bosco era ricco di essenze e questa era la sua forza. La tempesta Vaia e le seguenti siccità hanno stressato queste monocolture, il bostrico fa il suo lavoro. Certo per falegnami e venditori di legname è un flagello. Ma non per le dinamiche della natura».

E le zanzare, croce di queste estati?

«In Liguria, dove lavoro come coordinatore dei corsi di studio di biologia dell’Università di Genova, mi hanno affidato la responsabilità del monitoraggio sulla diffusione delle zanzare che possono trasmettere i virus di malattie come Dengue e Chikungunya. È un’emergenza legata al riscaldamento climatico, alla globalizzazione (spostamenti di merci e persone) e a questa urbanizzazione che ha dimenticato la cura intelligente dell’ambiente.

Abbiamo tombinato fossi, eliminato alberi, costruito ovunque, creando di fatto l’habitat ideale per zanzare, ratti, scarafaggi. Dove sono finiti i viali alberati che garantivano ristoro ai passanti. Tolosa, ad esempio, ha alberature ovunque. Un viale ombreggiato da piante salva dal caldo torrido ed evita di dover accendere l’aria condizionata a manetta. È questione di visione: l’ambiente va rispettato».

Si ferma in auto davanti al supermercato, l’agenda detta i tempi: c’è la spesa da fare, poi il pranzo con la mamma e nel pomeriggio il lavoro. «Ho fatto anche un’esperienza interessante tra Panama e il porto d’arrivo della Love Boat (serie tv che spopolava negli anni ’80) a bordo dell’Amerigo Vespucci ma ne parleremo in un’altra occasione. È una ricerca fatta con quello straordinario equipaggio della Marina Militare». Di più per ora non può dire.

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