L’amico fortunato era il ritratto della felicità
Mario era uno che gli piaceva andare in Prato della Valle a chiudersi in auto per pensare, ricordare, sognare, mandare messaggini. Gli pareva che i messaggini che gli nascevano spontanei lì, in auto, parcheggiato di fronte all’Isola Memmia, non gli sarebbero venuti in nessun altro posto del mondo.
Stare lì, chiuso in auto, da solo, gli piaceva soprattutto quando nevicava: tu eri circondato di silenzio, su di te dall’alto dei cieli scendevano questi fiocchi bianchi larghi e lenti, infiniti, dondolandosi, e si posavano con delicatezza, con attenzione, sulla tua auto, sui sentieri che attraversavano l’Isola, sul sentiero che la circondava.
Un movimento caotico, vorticoso, intenso, ma senza il minimo rumore. Ti faceva pensare che hanno ragione quelli che non vogliono sentir parlare di Big Bang, ma preferiscono parlare di Big Flash: all’inizio del Tutto non ci fu un tuono che spaccava i timpani, ma un lampo che bruciava le pupille. Dicono che la Terra trema ancora per quel tuono-lampo antico, nel profondo delle sue viscere ha ancora spasimi e contrazioni, strascichi dell’immenso sussulto col quale e dal quale la Terra nacque.
Andava lì soprattutto quando nevicava. Era convinto che nessuno ha visto veramente la neve scendere se non l’ha vista in Prato della Valle. Essere solo, nell’auto chiusa, o seduto sulla muretta, mentre nevica intensamente, in Prato della Valle, è una esperienza grande, che ti permette di capire i grandi eventi della vita. Era andato lì quando si era fidanzato. Poi quando si era sposato. Quando gli era nato il primo figlio. Quando la moglie si era malata. Quando era guarita. Quando le cose gli andavano bene. Quando gli andavano male. O malissimo. Come adesso. Malissimo così tanto che voleva farla finita.
Aveva portato con sé la pistola, la teneva in mano, la guardava. Era bella. Chi ha inventato la pistola, l’ha inventata bella. La pistola serve per uccidere o per uccidersi, per dare o per darsi la morte, chi l’ha disegnata ha voluto che quella morte fosse data con eleganza, con bellezza.
Mentre era lì, seduto sulla muretta, e teneva la pistola in mano e la guardava, vide un’altra mano allungarsi verso la pistola e tirargliela via. Sbalordito, guardò alla sua destra, e vide Giulio, il suo più grande amico dai tempi del liceo, che s’era seduto al suo fianco, e adesso lo guardava da mezzo metro di distanza. Il suo amico fortunato. Se a lui le cose andavano tutte male, a Giulio andavano tutte bene. Lo invidiava, anzi tutti in casa sua lo invidiavano.
«Cosa vuoi fare?» chiese Giulio.
«Farla finita» rispose Mario.
«E perché? »
«Perché non ce la faccio più».
«Non dire sciocchezze. E la Ilaria?»
«La Ilaria non sta bene con me».
«Ma cosa dici! E con chi sta bene?»
«Con te».
«Non dire idiozie! Non c’è niente fra la Ilaria e me».
«Lo sai che ho perso il concorso?»
«E con questo? Il concorso lo fanno a Roma, ti interrogano professori che non sanno niente di te, non li rivedrai mai più, lasciali andare per il loro destino».
«Però tu il tuo concorso l’hai vinto».
«C’eran tante sedi, m’han dato la più lontana, che vittoria è?»
«Adesso hai un posto di lavoro, un po’ alla volta otterrai l’avvicinamento, alla fine lavorerai vicino a casa tua».
«Scusa, mi occupo di sorveglianza bancaria, sai dove m’han mandato?»
«Dove?
«A Corleone».
“Embèh?»
«Corleone è una città che ha più banche che case, pensa te»
«Un posto perfetto per far esperienza».
«A Corleone mi guardano come se fossi un marziano, perché sono del Nord».
«Ma non si vede, dài, ti mimetizzi, no?»
«Ma quale mimetizzi! Se vado dal macellaio mi fan posto dicendo: C’è l’uomo del Nord».
«Va bene, e tu ne approfitti».
«Non vedo l’ora di salire da Corleone al Nord, faccio domanda, ma me la bocciano».
«Non è che te la bocciano, è che al Nord non hanno un posto da darti».
«Che è che non è, tu intanto hai trovato il tempo di fare un figlio, sei padre, beato te».
«Ma quale beato! È il più grande errore della mia vita, il figlio m’inchioda qui, ma qui non ho niente da fare».
«Un po’ alla volta le cose da fare salteranno fuori».
«È più facile che saltino fuori a te, se hai voglia di aspettarle».
«Credo che in casa mia mi disprezzino».
«Ma i tuoi genitori sono fieri di te».
«Apprezzano i miei non-fallimenti, perché non conoscono i fallimenti».
«Le ragazze vorrebbero uno come te».
«In realtà, quelle con cui ho tentato si son tirate indietro».
«Per esempio?»
«Per esempio, la Ornella».
«La Ornella è una boriosa».
«È innamorata di te».
«A sentir te, sono tutte innamorate di me».
«Beh sì, tu piaci alle donne, io no. Ti ricordi la Flavia?»
«E come no! Chi non ricorda la Flavia!»
«Beh, io ne ero innamorato pazzo, lei stava in un banco più indietro del mio, non la vedevo mai, ma quando veniva chiamata alla lavagna mi passava davanti e finalmente potevo guardarla. La guardavo così tanto che la vedevo trascolorare. Da rosea diventava rossa, poi viola, poi azzurra, io mi stropicciavo gli occhi, ma niente da fare, era una magia. Avrei dato la vita per toccarle una mano. Ma non ci sono mai riuscito. Beh, una volta l’ho vista durante l’intervallo che si addossava al termosifone, era inverno, tu eri già lì, e lei ha strusciato la sua mano sulla tua. Avrei voluto morire e rinascere te. Ma io sono sempre rimasto io e tu sei sempre rimasto tu. Trovo giusto che tu voglia vivere. Dovresti capire perché io voglio morire».
«Scusa, hai presente Dostojevskj?»
«Esattamente che cosa?»
«Esattamente “Delitto e castigo”».
«Cosa c’è che mi riguarda?»
«Anche lì il protagonista vuole uccidersi, ma poi si convince che la vita ha sempre dei misteri e dei regali, anche per chi è un assassino, come lui».
«Io sono infelice, questo è il problema, e voglio farla finita».
«Mentre io sono felice, dici tu?»
«Certo, tu sei il ritratto della felicità. Ho guardato spesso questa pistola. È consolatoria. Non credo che un colpo in testa faccia poi tanto male. Forse non lo senti nemmeno. Ho provato a legare anche con la Lisa».
«Non t’ha voluto?»
«No, neanche lei. Beato te, che puoi avere quella che vuoi, non hai che da scegliere. Ridammi la pistola, Giulio».
«No, non te la do. Tu sei intelligente, più di tutti in classe».
«Peggio ancora, l’intelligenza aumenta l’infelicità».
«Tu avrai una bella vita, perché la vita è bella, bisogna viverla, lascia qui la pistola, e torna a casa».
«Son venuto per farla finita».
«Non ora, non qui, e non con questa pistola».
«Che ne fai della pistola »
«La porto via, la tengo con me. Tu torna a casa».
Mario si convince, si alza e se ne va. Ha fatto appena quattro-cinque passi e sente uno scoppio, si volta e vede Giulio con la pistola in mano: il super-felice, super-fortunato, che ha tutte le donne, s’è sparato alla testa e sta cadendo per terra.
L’autore del racconto
Ferdinando Camon è nato a Urbana e vive a Padova. È datato 1970 il suo primo romanzo, “Il quinto stato”, prima parte di una saga che descrive la vita rurale nella pianura veneta. La tematica sarà approfondita con i lavori successivi “La vita eterna” e “Un altare per la madre”, con il quale nel 1978 ha vinto il l Premio Strega e dal quale è stato tratto il film omonimo per la regia di Edith Bruck nel 1986.
Commentatore per i nostri giornali, nella sua lunga esperienza di giornalista e scrittore, Ferdinando Camon è stato tradotto in molte lingue, e ha conseguito molti premi letterari di prestigio; nel 2016, gli è stato attribuito il Premio Campiello alla carriera
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