Piergiorgio, suo fratello e altri leoni
Il racconto di Matteo Melchiorre. Nei mercatini dell’antiquariato capita di innamorarsi insensatamente di qualcosa. A me è successo, ma rispetto a quello che è accaduto dopo questo è il meno
Nei mercatini dell’antiquariato capita a volte di innamorarsi insensatamente di un oggetto privo di qualsiasi utilità. Ebbene: io mi innamorai, non appena lo vidi a lato di una bancarella, di un leone in pietra rosa, non più alto di 60 centimetri e scolpito in maniera eccellente.
Seduto sulle zampe posteriori, reggeva un Vangelo aperto sulla pagina dove sta scritto: “Pax tibi Marce, evangelista meus”. Si trattava perciò di un leone marciano, ma il fatto che fosse sprovvisto di ali mi rassicurava a non vedere in lui un vero e proprio serenissimo leone, vale a dire quel pericoloso tipo di leone, alato, ignominiosamente preso su da epoche lontane per essere scaraventato qua, in mezzo a noi, a ruggire insensatezze.
Mi feci perciò coraggio e chiesi al mercataio quanti soldi volesse per quel leone. Disse: “Cinquanta euro”. Troppo poco per non immaginarvi un inganno. Chiesi allora di poter esaminare il leone e lo controllai con cura. Vi riscontrai un solo vizio: l’orecchio destro mutilato, spezzato. Così lo comprai.
Non fu semplice portare il leone alla macchina
Non fu semplice portare il leone alla macchina, tanto era pesante la viva pietra, ma la fatica venne ripagata allorché gli trovai posto accanto al divano ed ebbi la certezza di essermi messo in casa un oggetto davvero singolare.
Degli amici, che avevo invitato a cena, presero una sera a trattare quella bestia feroce come una persona cortese e distinta, partecipe dei nostri discorsi; gli diedero finanche un nome: Piergiorgio. Dissi che stante il Vangelo sarebbe stato meglio chiamarlo Marco, ma ritenevano che il nome confacente a un animale così posato e dignitoso non poteva essere che Piergiorgio.
Non ho esatto ricordo di come sia poi accaduto che io abbia cominciato a convincermi del fatto che questo Piergiorgio dovesse necessariamente avere un fratello. La nostra pianura non è infatti piena zeppa di leoni? Leoni assai più dozzinali di Piergiorgio, di cemento, o peggio di gesso, messi su pilastri a guardia e ornamento di cancelli che conducono in case più o meno ricche, ricercate.
Da qualche parte doveva perciò esistere il fratello di Piergiorgio: un altro leone di pietra, speculare, che a suo tempo aveva diviso con lui l’onere di nobilitare un ignoto cancello.
Tornai perciò al mercatino, ma il mercataio non c’era; e neppure chiedendo di lui in altre bancarelle riuscii ad avere indicazioni per contattarlo e chiedergli conto delle origini di Piergiorgio, in modo da mettermi sulle tracce di suo fratello.
Ma certe cose, se il destino lo decide, si muovono da se stesse. E così, coincidenza di cui mi stupisco tuttora, trovandomi un giorno nella Biblioteca di una città di cui non posso fare il nome, scorsi in un angolo, seduto, un leone di pietra che l’istinto mi disse essere il veridico, indubitabile, fratello di Piergiorgio.
La pietra era la stessa. Lo sguardo? Identico
La pietra era la stessa. Lo sguardo? Identico. Gli artigli? Quelli. Quel certo modo in cui era scolpita la criniera? Inconfondibile. E i baffi all’insù, del tipo comunemente noto come “baffo ungherese”? Gli stessi.
Una sola, ma rilevante, era la differenza. Il leone della Biblioteca, diversamente da Piergiorgio, non reggeva il Vangelo.
Chiesi lumi alla bibliotecaria. Quest’ultima affermò che avrei fatto meglio a scrivere al Conservatore del Museo, poiché il leone apparteneva alle collezioni museali della città, e stava in Biblioteca, più o meno, per un caso fortuito.
Trascorsero dei mesi e furono numerose le mie garbate insistenze, prima che il Conservatore del Museo si mettesse a cercare, sul leone della Biblioteca, le notizie che mi interessavano. Ciò che egli infine mi comunicò fu tuttavia una vera sorpresa.
Andiamo con ordine. Il leone della Biblioteca era pervenuto alle Collezioni museali nell’anno 1933, a seguito di una donazione effettuata dal notaio Tal dei Tali; proveniva dalla cancellata di Villa Caio Sempronio, rasa al suolo nel 1911 per fare spazio alla ferrovia. Il leone, ed ecco il punto, giungeva in Museo in coppia con un altro leone.
Nella scheda d’inventario, il Conservatore trovò peraltro una fotografia della coppia risalente al 1969. Ebbene: se uno era il leone della Biblioteca, l’altro era il mio Piergiorgio. Ecco infatti, chiarissimi in fotografia, il Vangelo aperto e, soprattutto, la mutilazione sommitale dell’orecchio destro.
Fui estasiato da queste notizie e mi parve giusto, non appena ne ebbi l’occasione, portare al Conservatore la fotografia di Piergiorgio e condividere con lui la gioia della scoperta. Devo ammettere che l’entusiasmo per quella insperata ricongiunzione fraterna annebbiò la mia ragionevolezza. Non pensai infatti a ciò che era evidente: se Piergiorgio nel 1969 si trovava in Museo e adesso si trovava in casa mia, in un modo o nell’altro egli doveva essere “fuggito” dal Museo.
Oppure, piuttosto, «rubato» dal Museo come ebbe a evidenziare, serissimo e accusatorio, il Conservatore, quando gli mostrai la fotografia. Pur ammettendo il modico valore di Piergiorgio, sia dal punto di vista economico che storico-artistico, il Conservatore non ci vedeva chiaro. Perché possedevo il leone? Da quando? L’avevo comprato? Dove? E soprattutto: da chi? Al che mi alterai.
Mi riteneva forse un ladro, un ricettatore?
Mi riteneva forse un ladro, un ricettatore? Disse di no, ma che il leone fosse fuoriuscito dal Museo e giunto in mio possesso per strade niente affatto trasparenti era, a parere del Conservatore, faccenda di tutta evidenza.
Dopo il litigio conseguitone, la cosa avrebbe anche potuto risolversi amabilmente. Tuttavia, montato, io credo, dal Conservatore, si mise di mezzo il Sindaco in persona.
Quest’ultimo osservò, come ripreso dai quotidiani, che un antico leone di San Marco, simbolo della nostra identità storica, e per giunta trafugato dal Museo, non poteva starsene in casa di un privato; disse il Sindaco che non era possibile definire l’illegittimo detentore del leone, cioè io, altro che una cosa che inizia per elle, e cioè un ladro. Aggiunse, il Sindaco, che era sua intenzione fare ogni cosa per riportare a casa nostra il nostro leone.
È chiaro, insomma, che incontrai sulla mia via una delle fiere più pericolose: un Sindaco bisognoso di combattere una guerra. Fu l’inizio di un mare di guai. Non posso certo raccontare qui il calvario che ne venne fuori.
Diciamo che ebbi modo di imparare più che bene che i simboli (svastiche, croci, mezzelune, stemmi, gagliardetti, falci, leoni) accendono nel cuore delle genti strani afflati, trasporti, slanci, orgogli, princìpi, missioni; e per questo è forse prudente tenersene sempre alla larga, non impacciarsi in cose riguardanti simboli o identità.
A ogni modo: estenuato dalla crociata voluta dal Sindaco, poco più di un mese fa ho liberamente deciso di consegnare Piergiorgio al Conservatore del Museo, con il patto che venga riunito, in Biblioteca, al suo fratello gemello.
Sennonché Piergiorgio, oggi, non sta affatto con il fratello, in Biblioteca, ma nell’ufficio del Sindaco in quanto simbolo redento di quella specifica identità che si vorrebbe racchiusa dentro un leone che regge un Vangelo.
Chi ha visto Piergiorgio nella sua nuova sede mi racconta che sta appoggiato su di una staffa metallica di finto corten, vicino alla scrivania del Sindaco, al modo di un pappagallo sul suo trespolo nella cambusa di un filibustiere.
L’autore – Matteo Melchiorre
Matteo Melchiorre è nato nel 1981 a Feltre, si è laureato a Venezia e vive e lavora a Castelfranco Veneto. Si occupa di storia medievale e della prima età moderna, di storia della montagna e dei boschi. Ma è da sempre uno storico con il piglio narrativo.
Autore di numerosi saggi storici e di narrazioni quali “La via di Schenér.
Un’esplorazione storica nelle Alpi” (Marsilio 2016, Premio Mario Rigoni Stern 2017 e Premio Cortina 2017) e “Storia di alberi e della loro terra” (Marsilio 2017). Per Einaudi ha pubblicato il romanzo “Il Duca” (2022 e 2023), vincitore di numerosi premi e in corso di traduzione in vari Paesi.
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