Ecco come si creano i mini-organi nel laboratorio del Vimm di Padova
Organoidi umani che un giorno potranno sostituire in tutto o in parte gli organi danneggiati da una malattia: cuore, polmoni, fegato, addirittura il cervello, con le sue infinite connessioni.
Di micro organi e medicina rigenerativa si occupa Cecilia Laterza, 39 anni, professoressa associata dell’Università di Padova e ricercatrice del Veneto Institute of Molecular Medicine (Vimm), nel laboratorio guidato dal direttore scientifico dell’istituto Nicola Elvassore.
Professoressa Laterza, cosa sono i mini-organi?
«I mini-organi o organoidi sono strutture tridimensionali che derivano da cellule staminali, e assomigliano per composizione cellulare e organizzazione strutturale agli organi umani, permettendoci di avere un modello in vitro su cui studiare la biologia umana. Derivano da cellule staminali, adulte o pluripotenti, che possono essere ottenute da cellule del paziente differenziate in vitro per creare organoidi del paziente stesso. Nel nostro laboratorio ci occupiamo principalmente di organoidi di cervello».
Un organo estremamente complesso, come si riesce a riprodurlo?
«Le cellule staminali sottoposte a stimoli dati da molecole di segnale specifiche sono in grado di differenziare e di organizzarsi in modo autonomo ricreando, seppur in modo non perfetto, piccole strutture che hanno l’aspetto approssimativo del cervello. E la “magia” degli organoidi sta proprio nella capacità delle cellule staminali di ricreare autonomamente queste strutture organizzate in modo analogo all’organo umano. Inoltre, i progressi della ricerca hanno fatto sì che si stiano sviluppando protocolli di differenziamento sempre più accurati, in grado di riprodurre non solo il cervello, ma anche porzioni anatomiche specifiche, come per esempio la corteccia».
Quali malattie possono essere studiate con questo tipo di ricerca?
«Di fatto la maggior parte della malattie. Penso ai pazienti con Alzheimer o altre malattie neurodegenerative, del neurosviluppo o infettive. Noi siamo concentrati su una forma genetica particolare dello spettro autistico chiamata “X fragile”. Abbiamo sviluppato un protocollo per ottenere organoidi che ci permettono di ripercorrere le fasi inaccessibili perché molto precoci dello sviluppo del cervello umano embrionale. Questo ci consente di capire i meccanismi iniziali e ancora sconosciuti che portano allo sviluppo della malattia».
Perché è importante poter lavorare con modelli umani?
«I trials clinici hanno purtroppo un alto tasso di insuccesso, determinato spesso dal fatto che l’ultimo step della sperimentazione del farmaco avviene su modelli animali, che presentano a volte differenze inter-specie che impediscono una corretta previsione dell’efficacia del farmaco sui pazienti. I modelli in vitro umani permettono invece di studiare i meccanismi di malattia e individuare target terapeutici paziente-specifici».
Quindi in un’ottica di medicina personalizzata?
«Esattamente, possiamo studiare l’evoluzione della malattia e individuare la terapia sulle caratteristiche specifiche del paziente, riproducendo ad esempio in laboratorio piccole porzioni del suo cervello, potendo studiare sia l’insorgenza della malattia in fasi molto precoci sia la possibile terapia. Di fatto un’analisi che comprende passato, presente e futuro di malattia e pazienti, quindi anche in ottica di prevenzione».
Gli organoidi potrebbero anche sostituire l’organo o parte di esso in futuro?
«Ci sono già degli studi in questo senso e c’è un progetto su cui stiamo lavorando anche noi. Diversamente dalle cellule staminali ugualmente studiate in medicina rigenerativa, gli organoidi hanno già una loro struttura, sono più evoluti e organizzati. Stiamo lavorando a una strategia per ingegnerizzare connessioni neuronali tra l’organoide che impiantiamo nel cervello del modello animale che ha subito un danno alla corteccia, per mimare quello che può succedere per esempio in caso di ictus o resezione chirurgica per un tumore. Nel momento in cui manca un pezzo di tessuto vogliamo trovare una strategia per poterlo sostituire».
Ci sono già terapie applicabili basate sugli organoidi?
«Si tratta di “invenzioni” molto recenti ed è un campo in rapida evoluzione. Serve ancora molta ricerca per migliorare i protocolli per la creazione di microtessuti in grado di riprodurre la complessità del tessuto dell’organo umano. Mentre è già realtà l’applicazione degli organoidi per lo studio in vitro di modelli di malattia e l’FDA li ha già ammessi, in alcuni casi, come ultimo test pre-clinico nello sviluppo di farmaci, riducendo quindi la sperimentazione sugli animali».
Il 65% dei ricercatori del Vimm è donna. Un caso?
«Le donne devono combinare il lavoro con le esigenze familiari e questo evidentemente impone loro di essere più organizzate e avere più determinazione per ottimizzare tempi ed energie. Se guardiamo ai ruoli apicali la maggioranza è ancora al maschile: sono però contenta perché il Vimm è molto attento a questa tematica e si sta muovendo per raggiungere gli standard europei in questo senso. In ogni caso, a prescindere da maschi o femmine, a fare la differenza deve essere la qualità del lavoro e della ricerca. Quindi è fondamentale e necessario assicurare alle ricercatrici donne pari opportunità, dando loro però anche gli strumenti per poterle coglierle».
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