Addio a Bruno Nicolè è stato il più giovane bomber e capitano della Nazionale

Il Padova dice addio a uno dei più grandi calciatori che abbiano vestito la maglia biancoscudata. È morto a 79 anni Bruno Nicolè, nato e cresciuto a Padova ma da ormai più di trent’anni trasferitosi ad Azzano Decimo in Friuli, dove è mancato ieri, senza fare clamore, così come aveva vissuto lontano dai riflettori gran parte della sua vita, dopo un exploit giovanile destinato a lasciare per sempre il suo nome impresso nei libri di storia del calcio italiano. Nicolè, infatti, vanta due record ancora imbattuti a distanza di più di mezzo secolo. Nel 1958, a 18 anni e 258 giorni, divenne il marcatore più giovane di sempre a segnare con la maglia della Nazionale. Ci riuscì all’esordio assoluto e ci riuscì timbrando addirittura una doppietta in un’amichevole giocata al Parco dei Principi contro la Francia (terza al mondiale precedente), finita 2-2.
All’epoca giocava già con la Juventus e proprio pochi mesi fa un altro juventino come Moise Kean ha attentato al primato, ma non è riuscito a batterlo, diventando il secondo marcatore più giovane in azzurro. Nel 1961, a 21 anni e 61 giorni, divenne quindi il più giovane capitano della Nazionale, indossando la fascia nell’amichevole vinta contro l’Irlanda del Nord.
Erano gli anni del boom economico e del Padova di Nereo Rocco, del quale Nicolè, indirettamente, fece le fortune. Era il 10 febbraio 1957 quando il Paron negli spogliatoi dell’Appiani esclamò: “Bocia, toca a ti!” . Quel bocia era Bruno, dal quartiere Sacra Famiglia, figlio di Carlo, proprietario di un’edicola a Ponte Molino, e Teresa, che sotto casa in via Castelfidardo manteneva una latteria. Quel bocia doveva ancora compiere 17 anni ma si era già fatto notare come ala di grande talento. Rocco lo spedisce in campo quel giorno contro l’Inter e non lo toglie quasi più. Finirà la stagione con 12 presenze e 2 gol, uno dei quali segnato alla Juventus, che se ne innamora e propone al Padova un’offerta irrinunciabile per acquistarlo: 70 milioni più il prestito di Hamrin. Con quei soldi, e quella contropartita, il club biancoscudato porrà le basi per allestire la rosa che l’anno successivo disputerà il miglior campionato della storia del Padova, arrivando terzo in Serie A. Fu un affare per entrambi, a Torino Nicolè giocò sei stagioni, vinse tre scudetti e due Coppe Italia, ma andò incontro a un declino atletico precoce, appendendo le scarpe al chiodo a 27 anni appena, dopo aver vestito anche le maglie di Mantova, Roma (vinse la prima Coppa Italia giallorossa segnando un gol in finale), Sampdoria e Alessandria. Dopo aver smesso si dedicò a insegnare educazione fisica per 30 anni, negli istituti medi, elementari e superiori tra Udine e Pordenone.
Non rientrò più nel mondo del calcio, ma si tenne sempre informato, prendendo pure il tesserino di giornalista professionista. Le ultime parole pubbliche verso la sua città, ormai più di dieci anni fa, le dedicò all’Appiani: “A quello stadio sono legati anni indimenticabili per la città, va conservato come fosse la Basilica del Santo. Va valorizzato, non smantellato. Ci si potrebbe fare un museo dello sport”. I funerali avranno luogo sabato alle 11 nella chiesa parrocchiale di Azzano Decimo. —
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