Buon compleanno Padova, Galderisi: «Orgoglioso di avere lottato»
I ricordi più forti dell’attaccante eletto dai tifosi come il calciatore del centenario: «Qui si deve avvicinare la gente al campo di gioco, c’è bisogno di emozioni»

Beppe Galderisi, “Nanu” per tutti, lei ha vinto scudetti con la Juventus e il Verona, è stato protagonista con il Milan e la Nazionale, e a Padova ha conquistato una storica promozione dalla Serie B alla A nel 1994. Oggi che ricorre il 115° compleanno del Biancoscudo, che significato ha avuto quella straordinaria esperienza?
«Tra le tante cose belle che mi sono capitate, il risultato di Padova lo porto dentro in modo straordinario. Perché in quella stagione 1993/94 si creò qualcosa di unico: un gruppo di ragazzi strepitosi, stavamo bene assieme, perdevamo e vincevamo restando sempre uniti. Ricordo le 2-3 possibilità che sprecammo sino ad arrivare allo spareggio di Cremona. Tornavamo a casa e pensavamo già alla ripresa della preparazione perché volevamo far nostro il campionato. Abbiamo rischiato qualche volta anche di retrocedere tra una cosa e l'altra. E' stato un passaggio della mia carriera davvero molto importante».
Quel pomeriggio del 15 giugno 1994 allo Zini resterà una pietra miliare nella storia della società. Immaginiamo i ricordi che le affiorano nella mente...
«Il principale sa quale è? Entrare in campo e trovarsi di fronte ad uno stadio per tre/quarti biancorosso. Ci rendemmo conto da quell'impatto che non avremmo potuto sbagliare. Così come rivedo le immagini del nostro arrivo a Padova: era praticamente impossibile raggiungere Piazza delle Erbe, c'era gente entusiasta che sbucava da ogni parte. Erano 32 anni che mancava la Serie A e devo dire che quel gruppo veramente mise l'anima in campo. Insisto, il concetto di gruppo fu fondamentale, perché quella promozione ce la conquistammo con i miei gol e con le parate di Bonaiuti, ma anche con il rapporto creatosi fra di noi e con la città. Giravamo per le vie e le piazze con una facilità disarmante, eravamo dentro qualsiasi cosa, sia che si vincesse sia che si perdesse, come se avessimo un senso di appartenenza pazzesco. Siamo stati premiati dall'...alto, nonostante fossimo arrivati molto stanchi all'atto finale».
Nel referendum indetto fra i tifosi per votare il Biancoscudato del secolo, lei è risultato primo. Se l'aspettava tanto amore?
«Ne vado molto orgoglioso e i padovani me lo ricordano anche quando cammino per strada. Era nato un legame unico, il fatto di non essere voluto andar via quando avrei potuto farlo, e di aver lottato, pianto e riso insieme a loro, vivendo Padova nel modo più profondo possibile, ha reso speciale il rapporto con la gente. Ed essere stato indicato come il giocatore del secolo credo sia un attestato, oltreché al calciatore, anche alla persona. Mi ha fatto tantissimo piacere. Se penso che Nereo Rocco è stato l'allenatore dei 100 anni, essergli affiancato come atleta è un onore immenso».
Veniamo all'attualità. Secondo lei, la squadra di Matteo Andreoletti ce la può fare a salire in B? Ha ragione Stefano Vecchi, allenatore del Vicenza, principale ed unica inseguitrice, quando sostiene che solo Kirwan & C. possono perdere il campionato?
«Questo Padova lo sto seguendo, e non sono ancora andato a trovare giocatori e staff tecnico per assistere a qualche allenamento, per un semplice motivo: mi ricorda assai il nostro gruppo del 1994. Vedo molto affiatamento, molta unità d'intenti, molta semplicità nel vivere le partite. C'è uno spirito che mi piace tantissimo, Andreoletti è bravo a non esaltarli, ma è bravo anche a non a nascondersi. E' un collettivo che non può assolutamente mancare l'obiettivo, lo dico perché ci credo. Il vantaggio che si ritrova è importante, pensiamo a chi rincorre cosa deve fare. Chi è davanti non deve assolutamente guardare indietro, ma pensare a ciò che lo aspetta in vista del rush finale. Ci sono tutte le possibilità e qualità per vincere la Serie C e tornare in una categoria più consona alla storia e al lignaggio del club. Spero un giorno di rivederlo in A, ma intanto pensiamo alla B. Sono straconvinto che ce la possa fare».
Non è strano, tuttavia, che si sia creata una situazione paradossale, con gli ultras e alcuni club della tifoseria organizzata che seguono in modo massiccio la squadra in trasferta, mentre disertano per protesta l'Euganeo?
«Ho inaugurato questo stadio, passando dall'Appiani, dove batteva il cuore a tutti, tifosi compresi, a celebrare la Serie A in un posto che sembrava fuori dal mondo. C'era anche Francesco Moser, e quella volta festeggiammo non nel modo a cui eravamo abituati. Io dico che bisogna dare al popolo ciò che merita e il pubblico padovano merita uno stadio all'altezza del proprio passato. Qui bisogna fare una sola cosa: avvicinare la gente al campo, e non mi riferisco solo alla curva sud e alle tribune. Pensiamo solo alla curva ospiti, mi sembra sia in.... piazza dei Frutti. I tifosi hanno bisogno di emozioni, di essere lì, con il naso sopra. Il padovano non può accettare tutto questo».
Un'ultima cosa. Cosa farà da... grande?
«Mi guardo intorno e aspetto. C'è stata qualche possibilità professionale, anche all'estero. Ma mi porto sempre Padova nel cuore e chissà... L'importante è avere la testa e la passione giuste».
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