Coach Velasco e il team «La squadra è un noi che non deve escludere la motivazione dell’io»

L’allenatore della nazionale femminile di pallavolo di scena

al Piccolo Teatro: «Ci vuole umiltà anche nella vittoria»

Leandro Barsotti

 

Un Julio Velasco più mental coach che team coach, un uomo che non si fa distrarre dalle domande ondivaghe, ma che va sempre al punto del suo metodo: una squadra forte non è un “noi”, ma è un insieme di “io” che scoprono come diventare forti nel “noi”. Ed è un concetto superiore al coaching generalista che vediamo nei film motivazionali o sentiamo sui campi di dilettanti. Riconoscere e rinforzare i tanti io che fanno un noi è molto più complesso che cercare una soluzione di soldatini tutti uguali.

E’ sempre utile ascoltare Julio Velasco, oggi allenatore della nazionale di volley femminile, ma da anni formatore di crescita personale, insegnante di team coaching, diventato in Italia il più filmato e diffuso maestro di gestione di un gruppo, sia esso sportivo (qualunque sport, mica solo la pallavolo) o sia esso aziendale.

Ieri sera Velasco era al Piccolo Teatro di Padova, ospite della Fipav (federazione pallavolo). E ha parlato in modo come sempre illuminante. Li riassumo in punti, che ogni allenatore o gestore di gruppo aziendale dovrebbe ritagliare e tenerseli in agenda.

1. La vittoria. Cosa succede quando vinci? si chiede Velasco. Guardi a te stesso, come sei stato bravo. E perdi di vista l’avversario che pur nella sconfitta ha fatto molte cose buone. Che avresti dovuto imparare. Ci vuole umiltà, sempre, anche nella vittoria. Quando perdi è più facile studiare il modo in cui l’avversario ti ha battuto. Ma anche quando vinci dovresti avere l’umiltà di studiare i momenti in cui hai fatto fatica.

2. La preparazione. A volte non è sufficiente fare le cose bene in vista della sfida. La realtà è che vanno fatte meglio del tuo avversario. Ma questo non lo sai finchè non sei in partita. Quindi non c’è un metro reale per capire se ti stai preparando bene in funzione della sfida, o no. L’unico che metro che hai è la tua passione, fare le cose bene perchè ti piace farlo.

3. Montagne russe. Dice Velasco: “Mi sono sempre chiesto perchè la gente paga per sentirsi male sulle montagne russe. La risposta è: perchè vogliamo vivere una emozione. Nello sport competitivo c’è la stessa forza: voglio vedere come va, stare male anche, ma vivere una emozione. Il problema è che finito tutto, arriva la malinconia, come una mamma che ha partorito dopo nove mesi di preparazione. Devi ripartire da lì”.

4. La colpa. Dice Velasco che ci sono errori di gioco per colpa nostra, poi ci sono errori generici e infine ci sono errori per merito dell’avversario. Eppure noi cerchiamo sempre di analizzare la colpa. Ma non c’è colpa reale a volte, semplicemente l’avversario ci ha indotto all’errore, ma non puoi dire che è colpa tua. Il senso di colpa è un grande problema in una gara: per questo è meglio lasciare andare il senso di colpa e dedicarsi all’azione dopo. “Lo sport è momento dopo momento, il mio concetto di qui e ora è che non so cosa succede, devo essere aperto ad ogni possibilità”, dice coach Velasco.

5. L’io e il noi. Qui Julio Velasco dà il meglio di sè. Dice l’allenatore che ha vinto le Olimpiadi: “Il noi non deve escludere l’io. Perchè ogni noi è fatto di tanti io. L’idea di creare un gruppo vincente a partire dal noi facendo sparire l’io, è falsa. Spesso vado a parlare nelle aziende e percepisco questo loro pensiero di trasformare tutti in noi. E invece gli io ci sono sempre. Il punto è: facciamoli giocare di squadra, perchè a loro conviene. E glielo devi spiegare. Ogni io ha le sue ragioni per vincere: chi il denaro, chi la patria, chi la gloria personale. I motivi sono diversi, ma sono i tanti io diversi che creano il noi. Una squadra è come una band che suona il jazz: c’è molta improvvisazione del singolo. Devi motivare ogni io affinchè all’interno del noi possa arrivare al suo personale obiettivo». E questo è il lavoro di Velasco. —

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova