Fausto Coppi, l’immortale a 100 anni dalla nascita

Il ritratto inedito del Campionissimo nel volume di Maurizio Crosetti e il suo ultima anno di vita nel racconto di Marco Pastonesi 

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L’immortalità è un eterno presente. Fausto Coppi se n’è andato quasi sessant’anni fa ma sembra impossibile parlare, scrivere di lui senza usare il tempo presente. Perché in lui convivono due fattori essenziali: l’essere un grande - forse il più grande - campione di ciclismo e l’aver avuto una vita da romanzo. A cent’anni dalla nascita - il 15 settembre - escono due volumi che completano il ritratto del Campionissimo in modo inedito. “Il suo nome è Fausto Coppi” (di Maurizio Crosetti, Einaudi Stile Libero Extra, 17,50) è un ricordo corale: l’autore, giornalista di Repubblica, fa parlare i protagonisti della breve esistenza del ciclista piemontese, in un’intervista senza domande, perché le domande in fondo non servono e i ricordi vengono da soli. In un susseguirsi di nomi - solo nomi di battesimo, a dire che può parlare solo chi la confidenza l’aveva forte - scorre la vita di Coppi, raccontato in modo intimo e senza fronzoli: dal fratello Serse - “Mi è rimasta la colpa di aver fatto perdere un Tour a Fausto, proprio io che lo riparavo dal vento”; da Gino Bartali - “Ed era solo, certamente. Io non meno di lui, però non si notava. Tutta la vita sono stato solo, cercando di raggiungere Fausto finché lui è andato dove non potevo arrivare”. È paradossale come l’immortalità di Coppi giri tutta intorno alla sua morte, come se da essa fosse definita.

“Coppi ultimo” (di Marco Pastonesi, 66thand2nd Edizioni, 17 euro) centra proprio questo aspetto: il suo ultimo anno, l’ultima Roubaix, l’ultimo Baracchi, l’ultimo viaggio e l’eredità che ne è venuta. “A cent’anni dalla nascita non si finisce mai di scoprirlo” racconta l’autore, che il ciclismo lo ama e ne scrive quasi in versi per la poesia che ci mette dentro. “Coppi è il ciclismo, è nei luoghi, nelle corse, nei corridori”. Ne hanno scritto grandi penne, da Brera a Buzzati, ma questo suo angolo buio ancora non era venuto a galla. “Il 1959 è l’anno in cui Coppi è più vicino a noi, a tutti, perché più lontano dall’eroe, dal campione, dal fuoriclasse, eppure è l’anno meno scavato, quasi dimenticato. Perché Coppi è ultimo”. —

Annalisa Celeghin

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