Gira e rigira un secolo del velodromo Monti

di IVANO MENEGHINI
Questa è una storia poco conosciuta, sia ai padovani che agli sportivi di tutt’Italia, ma che ha consentito a un mio sogno di trasformarsi in realtà. Il 10 giugno 1915, segna la fine dei lavori per il “campo sportivo per educazione fisica e dei giuochi”, successivamente chiamato velodromo Giovanni Monti.
Ben presto scoppia la Grande Guerra, e questo luogo viene utilizzato come area di ritrovo per i reduci dal fronte. Padova era la sede del Comando italiano e inglese. A conflitto ultimato, lo stadio comunale accoglie i reduci della Brigata Padova, sono costoro che desiderano dargli un nome. È scelto Giovanni Monti, un giovane ufficiale dell’Aviazione italiana, morto il 2 agosto 1931.
Sono gli anni del fascismo, nasce un giovane corridore, promettente, si chiama Severino Rigoni. Il velodromo lo vede prepararsi per le Olimpiadi di Berlino. Non riesce a vincere, arriva secondo, ma successivamente ha l’opportunità di rifarsi. Vince varie volte la “Sei giorni su pista” in coppia con Terruzzi. Diventa, immenso come allenatore della società Ciclisti padovani, rendendo competitiva la squadra. La società vince con i suoi migliori atleti le Olimpiadi di Roma nel ’60 e di Tokio nel 1964, più svariati Campionati del Mondo. In quegli anni primeggiava nel mondo un altro ciclista padovano: Leandro Faggin, pluricampione del Mondo e vincitore di “Sei giorni”.
Anni d’oro per la pista padovana, punto di riferimento dei velodromi di tutto il mondo. Con gli anni Settanta nasce la Scuola di ciclismo Leandro Faggin dedicata a questo grande corridore, morto prematuramente. Io ho avuto l’onore di essere il primo bambino iscritto.
Dopo un avvio positivo di questa elettrizzante novità, subentrano le prime difficoltà gestionali da parte della Federazione Ciclistica, le quali coincisero con l’incendio della palazzina della scuola di ciclismo. Ben presto, a complicare la situazione, si aggiunge il degrado urbano e sociale dell’area, favorito da una possibile speculazione urbanistica in quanto quest’area è una delle più prestigiose del Veneto. Proprio in questo momento una voce profonda mi dice chiaramente: “ristruttura questo velodromo”. Non mi spinsero motivazioni di ordine economico, politico o societario ma solo questa voce la quale mi spronò a proseguire nella convinzione di trovare persone che assieme a me condividessero questo sogno e lo trasformassero in realtà. E così accadde. Durante un corso per direttori sportivi conobbi l’architetto Vittorio Caleffi, un appassionato dei valori educativi trasmessi dallo sport e un capace tecnico. Grazie alla sua esperienza iniziò non solo un dialogo con il Comune di Padova, ma si crearono anche gli strumenti operativi per trasformare un luogo di degrado e speculazione in un ambiente bello e sano, non solo per Padova ma per tutta la regione. Coordinare tutto ciò mi fu possibile perché le società ciclistiche padovane mi nominarono loro presidente e in sintonia con il Comitato regionale Veneto, presieduto da Bruno Coccato, fu creato il Consorzio piste di Padova, la cui presidenza fu affidata al mio amico Giorgio Magagna.
Sembrava un’impresa impossibile perché erano gli anni dove gli ideali erano messi a dura prova dall’euforia del denaro facile e dalla speculazione. Erano gli anni di Tangentopoli. Infatti l’area del Prato della Valle con l’adiacente ex Foro Boario e lo stadio Appiani risultava appetibile da possibili speculazioni immobiliari in quanto area urbana di grande prestigio e nel centro della città. Risultava difficile questa avventura senza strumenti di potere o economici.
Fortunatamente qui a Padova un amico ciclista, con cui correvo assieme da ragazzo, cominciò, non solo a realizzarsi come marito e padre, ma anche di andare molto forte nelle competizioni agonistiche ciclistiche e a diventare in quegli anni il più forte corridore del mondo di ciclismo su pista. Infatti vinse non solo i Campionati Italiani ma anche i Campionati del Mondo nella corsa dell’individuale a punti, l’Americana, le tappe al Giro d’Italia con la maglia rosa e le Olimpiadi ad Atlanta. Il suo nome è Silvio Martinello. Questo corridore di Padova rappresenta un’importantissima immagine e punto di svolta per la ristrutturazione dello storico Velodromo Monti. Ben presto si arrivò all’inaugurazione, avvenuta il 6 luglio 1998. Questo con la collaborazione di Comune e Provincia, con gli assessori Iles Braghetto, Claudio Sinigaglia e Andrea Colasio. Fu ospitata anche la Nazionale di Ciclismo su pista che vinse con il padovano Mario Benetton il titolo iridato e fu creata la prima scuola di ciclismo Leandro Faggin. La scuola ha la gestione dell’impianto e il suo presidente è tutt’ora Manfredo Dorella, bravo e capace nel suo ruolo. Un pensiero va a tutti coloro che si sono impegnati in questo importantissimo progetto a cui mando un abbraccio caloroso e dico grazie. I loro nomi sono: Giuliano Lion, Franco Galiazzo, Diana Ranzato, Giorgio Righetto, Tiberio Titone, Pierluigi Siviero, Bruno Coccato, Camillo Calzavara, Giorgio Magagna, Pierino Bilato, Roberto Colò, Flavio Milani, Nives Milani, Andrea Veronese, Marcella Tabacchi, Mauro Gazzerro e moglie, Andrea Colasio, Iles Braghetto, claudio Sinigaglia, Flavio Zanonato un Grazie particolare al Presidente della Scuola di Ciclismo Leandro Faggin, Manfredo Dorella, e all’architetto Vittorio Caleffi. Un abbraccio a tutti coloro che amano questo sport.
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