Il vecchio Appiani e l’indomito ruggito della fossa dei leoni
Il Calcio Padova festeggia 115 anni. Viaggio nei ricordi dello storico impianto, teatro di sfide leggendarie. Un’epopea lunga ben settant’anni, legata a doppio filo a quella della squadra
Spelacchiati magari, ma indomiti nel ruggire. Che il mitico stadio Appiani si fosse acquisito sul campo la mordace etichetta di “fossa dei leoni”, Antonio Valentin Angelillo, centravanti della grande Inter di Helenio Herrera, l’avrebbe imparato a proprie spese una domenica: quando, poco prima di affrontare il Padova di Rocco, durante il riscaldamento pre-partita, chiese a un compagno di squadra chi fossero quei vecchi raccattapalle che arrancavano nell’altra metà del terreno di gioco.
«Eravamo noi», risponderà anni dopo Lello Scagnellato, simbolo dei panzer biancoscudati; spiegando: «Eravamo conciati da far paura, con vecchie tute rattoppate; al martedì ci davano un paio di calze che dovevano servire per tutta la settimana». Malgrado questo, i nerazzurri le buscarono 2 a 0; e fu quel giorno, raccontò Gianni Brera, che Angelo Moratti impose al rutilante HH di copiare da Rocco, adottando pure lui il “libero” d’area.
L’Appiani entra in funzione nel 1924, quattordici anni dopo la nascita del Calcio Padova; e terrà botta per altri settanta, fino al 1994. Partita d’esordio: 19 ottobre contro l’Andrea Doria, sonora vittoria per 6 –1; gara di chiusura: 29 maggio contro il Palermo, 0-0, ma a fine campionato la promozione in A dopo lo spareggio con il Cesena. In mezzo, il successo casalingo più robusto: 7-0 alla Pro Patria nel campionato 1929-30; la sconfitta più urticante: 0-5 buscato dalla Juventus nel 1995-96.
E pure mitici ricordi: il 4-4 del 20 febbraio 1949 contro il Grande Torino, tre mesi prima che lo squadrone granata fosse spazzato via dalla tragedia di Superga. Pure l’onore di ospitare due volte la nazionale maggiore, sia pure in amichevole: 4 novembre 1925, Italia-Jugoslavia, 2-1 per gli azzurri; 3 maggio 1990, Italia-Uruguay, 4-1 per i sudamericani.
Una storia che parte dal 1921
Lo stadio comincia a nascere il 2 agosto 1921, quando il Consiglio comunale di Padova stanzia 200mila lire per comprare il terreno; poco più di due anni dopo, il 24 ottobre 1923, si approva quasi all’unanimità (29 voti favorevoli, 1 contrario), la spesa per costruire l’impianto.
I cantieri non sono mica quelli odierni formato sior Intento: già dodici mesi dopo, il 19 ottobre 1924, l’Appiani ospita la prima gara, quella prima ricordata contro i liguri dell’Andrea Doria, terza giornata dell’allora campionato di Prima Divisione (antesignana dell’odierna serie A). Il primo gol biancoscudato in assoluto arriva già dopo tre minuti dal fischio d’inizio: lo segna Nane Vecchina, centravanti che nel Padova disputerà sei campionati, segnando 86 reti in 117 presenze, e vestirà anche la maglia della nazionale.
Chi è stato Silvio Appiani
L’impianto viene intitolato a Silvio Appiani, vicentino, classe 1894, attaccante del Padova dal 1913 al 1915, realizzando 18 gol in 14 gare: quando parte volontario per la Grande Guerra, dove perde la vita pochi mesi dopo sul Carso, il 21 ottobre 1915, in seguito a un bombardamento austriaco.
Lo stadio viene definitivamente completato nel 1926, con una capienza di poco meno di 10mila spettatori; ma in quello stesso campionato arriva la prima tegola, quando a dicembre, in occasione di una partita casalinga contro il Milan, la società viene multata per 5mila lire causa “il contegno scorrettissimo del pubblico nei confronti dell’arbitro”. L’ammenda viene peraltro pagata dai tifosi stessi, che si autotassano.
Tra il 1929 e il 1949, l’Appiani viene sottoposto a modifiche e ampliamenti, tra cui la costruzione della curva nord e il potenziamento della gradinata est, arrivando ad accogliere fino a 24mila spettatori; il record viene stabilito nel 1983 per una gara di Coppa Italia contro il Milan, con 25.346 presenze. A subentrargli, il 19 giugno 1994 con un’amichevole tra il Padova dell’epoca e le vecchie glorie, il contestatissimo stadio Euganeo, avviato a dicembre 1989. Intanto, il vecchio glorioso impianto è attualmente sottoposto a lavori di ristrutturazione nell’intento di restituirlo alla configurazione originaria del 1924.
Il Padova di Rocco
L’epopea dell’Appiani è legata a doppio filo al leggendario Padova di Rocco e dei suoi panzer, attorno ai quali è fiorita una ricca e gustosa aneddotica: tipo un pre Padova-Juventus, in cui Boniperti incrociando Nereo gli porge la mano dicendo «vinca il migliore»; e Rocco, di rimando, «sperémo de no». Ma c’è da ricordare pure un’autentica vecchia gloria della tifoseria biancoscudata, di cui si è tramandato solo il soprannome: Mussa.
Un quintale e passa di tifo, regolarmente tra i primi a presentarsi allo stadio, munito di un ombrello arrotolato che portava sempre con sé, sole pioggia o neve che Dio mandasse in terra. Non un portafortuna o un amuleto, ma uno strumento di lavoro: quella era chiamata “la fossa dei leoni” non solo per via del calore del tifo, ma anche perché le reti che delimitavano il terreno di gioco erano immediatamente a ridosso degli spalti. E quando un giocatore della squadra avversaria veniva a effettuare una rimessa laterale, Mussa piombava su di lui da tergo, e brandendo l’ombrello come una Durlindana lo infilzava nelle natiche. Con un caloroso invito rivolto al direttore di gara in caso di decisioni sgradite: «Arbitro, va a dirigere el trafico in casa de to’ mojere…».
Monumento a se stesso anche a distanza di trent’anni, l’Appiani rimane il simbolo di un’epoca, più che di una squadra: ricordato al meglio da uno dei più esemplari calciatori del passato, Pino Lazzaro, nel libro “Nella fossa dei leoni”, intensa raccolta di testimonianze di ex biancoscudati.
Segnala Giancarlo Padovan nell’introduzione: «È un viaggio dentro ciò che rende il calcio immortale, e in ciò che dovrebbe rendere un luogo rispettoso di quello che è stato, e capace di resistere alla pura memoria». Nessun dubbio, il vecchio Appiani resisterà.
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