«Io? Avrei battuto Bolt»: parola di Pietro Mennea

L’ex velocista racconta se stesso e il fuoriclasse giamaicano insieme a Daniele Menarini

BARLETTA. «La dico grossa: io avrei battuto Bolt». Parola di Pietro Paolo Mennea, primatista sui 200 metri piani con lo storico 19'' 72 alle Universiadi di Città del Messico del 1979. Un record che è durato, quasi 17 anni. «È grandissimo, ha le leve lunghe, è alto. Ma stringere davvero i denti e andare controvento è un'altra cosa». È una gara virtuale, quella fra Mennea e Bolt, nell'era "duepuntozero" in cui è possibile mettere sulla stessa linea di partenza due atleti di stagioni diverse. Nel suo nuovo libro (“Inseguendo Bolt. Lungo un percorso che conosco” di Pietro P. Mennea, con Daniele Menarini. Lìmina Edizioni, 16 euro) il velocista di Barletta ripercorre la carriera sua e quella del ventiseienne primatista giamaicano, record mondiale sui 100 e 200 metri e sulla staffetta 4x100 metri, alla ricerca di affinità e differenze, analizzando i punti di contatto e le distanze siderali. I due atleti corrono, idealmente, l'uno di fianco all'altro, lungo due parallele destinate a non incontrarsi mai. Ma con un sogno in comune: essere l'uomo più veloce della Terra. Ciò che li divide è il modo di intendere l'atletica: Bolt è talento allo stato puro ma poca voglia di sputare sangue; per Mennea è stata sacrificio, quaderni d'allenamento che hanno «il sapore amaro della fatica, della macerazione». Quale consiglio può dare un velocista del passato al semidio della velocità? Dedicarsi ai 400 metri, distanza in cui il margine di miglioramento è ancora grande. E, soprattutto: «Meno ragazze, più sudore. Meno bollicine, più acqua. In cinque parole: una vita alla Pietro Mennea».

Annalisa Celeghin

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