La tragedia allo stadio Heysel, 35 anni fa I tre bianconeri veneti lo ricordano così

Stefano Edel
Oggi sono 35 anni. 29 maggio 1985-29 maggio 2020: il ricordo di quella tragedia, allo stadio Heysel di Bruxelles, resta sempre vivo in chi ne è stato testimone diretto, a maggior ragione se parliamo di protagonisti in campo.
Trentanove morti prima di Juventus-Liverpool, finale di Coppa dei Campioni, mandata in scena in un impianto inadeguato perché vecchio e fatiscente, con gli hooligans inglesi, ubriachi fradici, scatenati nella caccia all'italiano. Di quelle 39 vittime 32 furono nostri connazionali, fra cui un bambino di 10 anni e una ragazza di 17.
Nella squadra di Trapattoni, che alla fine avrebbero messo le mani sul trofeo, per la prima volta nella storia della società, grazie ad un rigore di Platini nella ripresa, c'erano tre veneti, due titolari sin dall'inizio e il terzo in panchina: Massimo Briaschi, oggi 62enne, vicentino, che ha scelto poi la carriera di procuratore sportivo; Luciano Favero, anch'egli 62enne, veneziano, pensionato; Beniamino Vignola, 61 anni il 12 giugno, veronese, imprenditore nel settore del vetro per auto e veicoli commerciali.
UNA GRANDE ANSIA
Briaschi, attaccante di fascia, confessa di provare ancora sensazioni forti ripensando a quei momenti drammatici: «Ho una grande ansia quando devo ricordare ciò che è successo. Mi viene in mente tutto, dalla mattina sino a quando arrivammo in hotel, a tarda sera, di ritorno dallo stadio e fummo informati delle esatte dimensoni della strage». Le immagini si sovrappongono: «Una finale ad alta tensione, gestita malissimo dall'Uefa e organizzata dove non c'erano le giuste condizioni di sicurezza. In mattinata avevamo deciso di fare una passeggiata nella famosa Grand Place, ma non fu possibile perché, quando con il pullman ci avvicinammo, trovammo un nugolo di inglesi già “alticci” a quell'ora, era pericoloso. Andammo via subito». La partita iniziò quasi un'ora e mezzo dopo l'orario prefissato (le 21.40 invece delle 20.15), ma fu tutto surreale. «Il sentore che fosse successo qualcosa di grave nella tribuna Z era diffuso, non potevamo però immaginare una tragedia di simile gravità». Ed ecco il particolare agghiacciante: «Il flash più nitido restano i volti dei tifosi juventini, la loro disperazione per quei morti, raccolti dietro gli spogliatoi, dove il muro era crollato. L'Heysel deve restare un monito per tutti: mai più. Quelli erano hooligans, che per fortuna sono scomparsi, ma i delinquenti continuano a girare. Oggi come allora».
NON PUOI DIMENTICARE
Favero, terzino destro di una difesa che aveva in Brio e Scirea i perni centrali e in Cabrini l'uomo della fascia sinistra, è di poche, ma eloquenti parole: «Trentacinque anni non sono mai passati per me, sembra ieri. Sono andato al funerale di alcuni dei tifosi deceduti, il pensiero resta lì, a quel rettangolo verde su cui si riversavano in tanti, piangendo, chiedendo aiuto, con i vestiti insanguinati». Vi hanno criticato per il giro di campo finale con la Coppa... «L'abbiamo fatto per la gente di fede bianconera che era dalla parte opposta e sapeva poco o nulla, ma non fu un'esultanza così smodata come l'hanno descritta. Comunque, è una pagina della mia vita da giocatore che non potrò più dimenticare, troppo brutta per riuscire a cancellarla. Una macchia nera nella storia del calcio».
NON VOLEVAMO GIOCARE
Vignola, entrato all'89' al posto di Paolo Rossi, trascorse quell'ora e mezza in panchina. «Eravamo consapevoli che fosse accaduto qualcosa di grave prima”, ricorda, “ma non che si fosse consumata una disgrazia simile. Era una partita che aveva perso fascino, ci imposero di giocarla comunque perché, altrimenti, se fosse stata rinviata sarebbe finita peggio. Eppure noi non volevamo, anche il presidente Boniperti era d'accordo. Quella Juve era agli sgoccioli di un ciclo importante, una sorta di canto del cigno, parlo per i vari Cabrini, Scirea, Tardelli, Platini, Boniek e Rossi, non so se avrebbe rivinto il trofeo».
Chiusura significativa: «Rispetto alla Coppa delle Coppe vinta sempre con i bianconeri ricordo quella Champions meno volentieri, le cose brutte vanno archiviate in fretta. E' assurdo morire per una partita, non vado quasi più allo stadio perché penso che il pericolo della violenza ci sia sempre». —
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