«Mio nonno cacciato dalla Rari Nantes»

Leone Romanin Jacur, ex portiere del Calcio Padova, fu vittima delle leggi razziali
CARRAI - PREMIO FUMAGALLI A TULLIA ZEVI - DAVIDE ROMANIN JACUR CARRAI - PREMIO FUMAGALLI A TULLIA ZEVI
CARRAI - PREMIO FUMAGALLI A TULLIA ZEVI - DAVIDE ROMANIN JACUR CARRAI - PREMIO FUMAGALLI A TULLIA ZEVI

PADOVA. «L’idea, senza alcun fondamento, dell’ebreo un po’ curvo e dal naso lungo che fosse adatto più agli affari che allo sport è stata smontata anche dalla nostra città», afferma Davide Romanin Jacur, presidente della comunità ebraica di Padova. Il rischio, secondo Romanin Jacur, è quello di dimenticarsi di quanto la comunità ebraica abbia aiutato lo sviluppo dello sport a Padova, in Venete e in tutta Italia. «In un’ansa del Bacchiglione, per esempio, si trova il busto commemorativo di un grande industriale padovano, ebreo, che diede grande impulso allo sport nostrano: Arturo Diena, che fu presidente e fondatore della Canottieri Padova. Per non parlare poi di Leone Romanin Jacur, mio nonno, che si dedicò al calcio e fu portiere del Padova, nonché uno dei fondatori della società Rari Nantes e del Tennis Club. In seguito alle leggi razziali furono però entrambi espulsi dalle associazioni cui loro stessi avevano praticamente dato vita. L’unico circolo che assunse un atteggiamento coerente fu il Circolo Pedrocchi, che piuttosto che espellere soci eccellenti preferì chiudere».

La storia degli atleti ebrei continua: si arriva alla nascita dello stato d’Israele, nel 1948. «Ricordo Renato Parenzo, avvocato padovano, sciabolatore alle Olimpiadi di Melbourne del 1956: lui era il prototipo dello sportivo ebreo nuovo, moderno. E anch’io ho avuto il mio momento di gloria: scoperto come nuotatore stileliberista da Massimo della Pergola (giornalista che nel 1946 diede vita alla Sisal in Italia), feci parte di una squadra messa in piedi appositamente per partecipare alle Maccabiadi (una manifestazione multisportiva, molto simile ai Giochi olimpici, nata in ambiente ebraico ed organizzata in Israele ed in Europa).

Il nostro mentore passava il giorno a leggere per intero La Gazzetta dello Sport per scorgervi atleti che avessero un cognome che richiamasse un’origine ebraica.

Per dirvi: c’era un atleta di Roma, privo di un braccio, che non solo era un abile tiratore di pistola, ma doveva anche, alla bisogna, gareggiare come ciclista. Insomma: ci si adattava. A me, per esempio, è capitato di partecipare a sette staffette… composte di soli quattro nuotatori!».

I ricordi di Romanin Jacur includono anche la conoscenza di un altro famoso nuotatore ebreo, Mark Spitz, protagonista di un’Olimpiade tragica come quella di Monaco di Baviera 1972 (un commando di terroristi dell'organizzazione palestinese Settembre Nero fece irruzione negli alloggi israeliani del villaggio olimpico: 17 i morti). «Sì, siamo stati vicini di corsia. Di lui ricordo il saluto cordiale e le bollicine che lasciava dietro di sé: era impossibile da prendere», conclude il presidente. (an.cel.)

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