Petrarca e Rovigo battaglia senza fine

La cinquantaduesima sfida rivista con gli occhi dei protagonisti del passato Dagli sfottò di Memo Geremia alle telefonate notturne di Brizzante a Munari

PADOVA. «Due volte l'anno ci si vedeva. Quelle sì che erano battaglie! Petrarca-Rovigo era l'unico, vero derby veneto, “il Derby”. La stella di Treviso apparve solo più tardi. Rovigo era sinonimo di combattimento durissimo ma anche poi di fraternizzazioni. Ruspante e ruvida, anche quella». La testimonianza, pubblicata nel suo libro "Piccolo, grande rugby antico", è di Lando Cosi, pioniere del rugby padovano, decano dei Petrarchi e capitano tuttonero tra gli anni ’40 e '50. La più grande rivalità del rugby italiano, che si rinnova oggi per la 152° volta, nasce nell'immediato dopoguerra. Il derby d'Italia, oltre che la più giocata, è senza dubbio la sfida più sentita del rugby italiano. Qualcuno dice addirittura che frappone due universi paralleli. I Siori o Preti da una parte, Coltivatori o Contadini dall'altra. Nel tempo poi, i petrarchini sono stati marchiati dalla tifoseria rossoblù come onti, mentre a Padova fioriranno battute e sfottò micidiali nei confronti di Rovigo città, il Polesine e i suoi abitanti. Inizialmente dominava Rovigo ma nel tempo il Petrarca si è rifatto, superando i cugini in quanto a scudetti e beffandoli a domicilio nel 2011. La sfida comunque non si gioca solo in campo e non la disputano solo i giocatori. Spesso anzi, la rivalità aumenta per certe goliardate della tifoseria o dei dirigenti di ambo le parti. Qualche esempio? Uno su tutti: Memo Geremia. L'anima del Petrarca - giocatore, allenatore, dirigente, presidente - è notorio che sputasse in riva all'Adige ogni volta che tornava a Padova. Leggendarie le sue domande in piazza a Rovigo dopo le vittorie in trasferta, prima di sgommare via in macchina per evitare il linciaggio: da «Scusi, quanto manca per Rovigo?» a «Guarda che bella città, non capisco perché vi lamentiate visto che abitate solo a venti minuti da Padova». Una volta a fine partita - vinta in trasferta dal Petrarca - Geremia telefonò dagli spogliatoi del Battaglini a Zuin, custode dello stadio ed ex rossoblù, che lo vedeva benissimo, per chiedergli: «Chi ga vinto?». Nel '77, prima del famoso derby all'Appiani, un dirigente rossoblù dichiarò allora: deve nevicare ad agosto perché il Petrarca vinca il campionato. I tuttoneri vinsero sia la sfida sia lo spareggio per il titolo, quindi modificarono il ritornello di un brano della Vanoni per cantare quant'è bella la neve ad agosto. Negli anni ’70 i petrarchini infilarono delle galline padovane nello spogliatoio avversario, che furono prontamente portate a casa e cucinate da alcuni tifosi-buongustai rodigini. Negli anni '80 invece gli "ultras" rossoblù gettarono sul prato del Battaglini un porcellino vestito con la maglia nera: la goliardata costò al Rovigo le accuse di maltrattamento da parte delle associazioni animaliste. Pochi anni dopo invece volarono in campo ombrelli, diretti a Vittorio Munari che usciva dal campo mostrando l'orologio a cinque minuti dalla fine, con la vittoria in tasca. Per l'attuale ds del Benetton, all'epoca tecnico petrarchino, c'era un particolare trattamento psicologico da parte dei giocatori rossoblù. La notte prima del derby, il ruvido terza linea Flaviano Brizzante lo chiamava a casa nel cuore della notte dicendo al telefono un inequivocabile: «Te mazo». Ma c'era qualcuno di ancora più odiato, Toni Galeazzo, bersaglio prediletto del pubblico rodigino. Il tallonatore padovano sentiva talmente questa partita da considerare un punto d'onore essere fatto oggetto di un odio così profondo. Anni dopo, candidamente, confesserà: «Mi sarei offeso se non mi avessero chiamato ogni volta figlio di p...».

Simone Varroto

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