Cinema al 100 per cento, le recensioni dei film usciti giovedì 24 febbraio 2022
Esce in sala “Belfast”, il film semi-autobiografico di Kenneth Branagh, candidato a 7 premi Oscar. “L’accusa” di Yvan Attal riflette sul carattere prismatico della verità. E, infine, “L’ombra del giorno”, film “senza tempo” di Giuseppe Piccioni con Riccardo Scamarcio e Benedetta Porcaroli
“Belfast”
Regia: Kenneth Branagh
Cast: Jude Hill, Jamie Dornan, Judi Dench, Caitrìona Balfe, Ciaràn Hinds
Durata: 98’
Un po’ come Paolo Sorrentino con “È stata la mano di Dio”, così anche Kenneth Branagh (ma anche l’Almodovar di “Dolor y gloria” o il Cuaròn di “Roma”) torna alla propria infanzia per ricostruire un episodio importante della sua vita, ovvero l’infanzia di un bambino nella Belfast della fine degli anni Sessanta, prima dello scoppio delle ostilità religiose e sociali tra cattolici e protestanti. Buddy è un figlio della classe operaia, gioca in una strada con bambini e parenti, in una sorta di Eden proletario della periferia di Belfast. Ma ecco, in quell’estate del 1969, che accade qualcosa di impensabile: gli amati vicini diventano accerrimi nemici, e l’odio porta a porta sarà la prassi per i decenni successivi. Branagh ricostruisce con un occhio in parte nostalgico, in parte realistico, la sua infanzia, piena di miti cinematografici americani, di vicende scolastiche e sentimentali, di figure eroiche come quella del padre, ma anche della madre, o dei nonni. Il tono del racconto diventa così una sorta di Irish Graffiti, sulle note di Van Morrison, che si infiamma nelle vicende dei “troubles”, i disordini che coinvolsero tutta l’Irlanda del Nord. Girato in Bianco&Nero dal direttore della fotografia di Branagh, Haris Zambarloukos, che contribuisce a sfumare la memoria nella storia e limita il colore ai film e alle immagini esplosive della televisione, “Belfast” cita pellicole che sono metafore esplicite della vita del piccolo Buddy, western come “Mezzogiorno di fuoco” e “L’uomo che uccise Liberty Valance”. Il vero protagonista, oltre agli adulti impeccabili, è il piccolo Jude Hill, interprete esordiente tutto teso a capire quel mondo in cui credeva e che di colpo gli si rovescia tra le mani. Per cui Buddy ascolta, spia, studia, chiede e impara, cercando di arrivare in primo banco, dove siedono i migliori, esercitando il diritto di critica come un adulto e rifiutandosi di farsi trascinare dalla massa tumultuosa. Ne scaturisce un film intimo e insieme storico, che alla fine, in un campo lungo a colori sulla Belfast notturna di oggi, sintetizza in tre dediche il motivo del film “a quelli che sono rimasti, a quelli che sono partiti, a quelli che si sono persi lungo la strada” (mi.go.).
Voto: 7
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“L’ACCUSA”
Regia: Yvan Attal
Cast: Charlotte Gainsbourg, Mathieu Kassovitz, Pierre Arditi, Ben Attal, Suzanne Jouanet
Durata:138’
Ci sono tante verità. C’è quella sostanziale che, il più delle volte, non appartiene agli uomini. Quella giudiziale, che non sempre coincide con la prima, risultato di ciò che viene concretamente accertato davanti a un tribunale oltre ogni ragionevole dubbio. E poi ci sono le verità filtrate dai media e quelle “intime” che vengono percepite come tali dai protagonisti di un fatto. “Le cose umane” di Yvan Attal, presentato fuori concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, riflette sul carattere prismatico della verità, adattando per lo schermo le pagine dell’omonimo romanzo di Karin Tuil (edito da La Nave di Teseo). Alexandre (Ben Attal) è il figlio di una ricca famiglia borghese: il padre Jean (Pierre Arditi) è un importante opinionista francese, la madre Claire (Charlotte Gainsbourg) è una saggista nota per il suo femminismo radicale che ora vive con un altro uomo e con Mila, la figlia di lui. Quando Alexandre viene accusato di aver stuprato Mila dopo una festa, le vite di ognuno di loro franano sotto il peso di un dramma che travolge tutto: le ambizioni e il futuro dei due ragazzi, la relazione di Claire e la sua stessa integrità morale e professionale scossa nel profondo. Un’anima divisa in due: donna che lotta per le altre donne ma, prima ancora, madre del presunto stupratore. Il film di Yvan Attal ha la capacità di affrontare un tema molto delicato con un rigore e un equilibrio non comuni, sviluppando la vicenda attraverso tre blocchi narrativi: il punto di vista dell’accusato, quello della vittima e, infine, il processo che ha nelle arringhe finali dei due avvocati e nella testimonianza di Claire altrettanti momenti di grande cinema, dal valore emotivo amplificato dalla commistione finzione/realtà. Ben Attal e Charlotte Gainsbourg sono, infatti, madre e figlio (nato proprio dalla relazione tra l’attrice e il regista) anche nella vita reale. Con una sequenza finale meravigliosa, sintesi lontana da ogni voyeurismo, che sublima la riflessione sulla verità (o, meglio, sulla sua percezione), quale portato di un contesto sociale ed economico che alimenta le zone grigie e ammanta il silenzio di significati tragicamente opposti: quello che “legittima” una pulsione e quello che serba la rassegnazione di chi, tacendo, non acconsente ma, semplicemente, subisce. (m.c.)
Voto: 7
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“L’OMBRA DEL GIORNO”
Regia: Giuseppe Piccioni
Cast: Riccardo Scamarcio, Benedetta Porcaroli, Lino Musella, Valeria Bilello
Durata:125’
Il nuovo film di Giuseppe Piccioni, sin dal titolo, è un racconto di ombre che incombono. Quelle della Storia (così lontane eppure sorprendentemente attuali nei giorni convulsi di una guerra alle porte dell’Europa) e quelle proiettate sulle anime dei protagonisti. Luciano (Riccardo Scamarcio in un ruolo maturo, capace di incarnare il grumo di sentimenti di un uomo morigerato persino nel suo risentimento) è un reduce di guerra ferito nel corpo e nello spirito. È il proprietario di un ristorante che affaccia sulla piazza principale di Ascoli Piceno alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Anna (Benedetta Porcaroli) è una giovane donna in cerca di lavoro: Luciano ne intuisce le ombre ma, nonostante questo, la assume, ne rimane attratto e diventa complice del suo segreto. Intorno a loro il mondo sta cambiando: la propaganda delle bonifiche fasciste, le promesse di benessere, l’illusione di una guerra-lampo per “spartirsi il mercato inglese” si scoprono fragili come il vetro di bottiglie rotte in un nascondiglio sotterraneo o i pezzi della vetrina del ristorante che vanno in frantumi. Perché “L’ombra del giorno”, in fondo, è un film in cui il confine tra il dentro e il fuori, tra la realtà e l’apparenza è sottile come un cristallo. Arriva un momento in cui Luciano non può più osservare, indifferente, quel fuori che si insinua pericoloso tra i tavoli della sala da pranzo dove siedono professori antifascisti con il rimorso di non aver disubbidito a leggi ingiuste e viscidi gerarchi fascisti (Lino Musella, attore sempre più prezioso del nostro cinema). E dove Anna e un altro giovane cameriere rappresentano altrettante spinte opposte che rifiutano e accettano quel fuori ormai indifferibile. Giuseppe Piccioni non firma (solo) un’opera storica: sono sempre i sentimenti al centro di tutto. L’amore, certo, tra due anime “fuori dal mondo”, ma anche quel senso di spaesamento, di precarietà congenita che assume universale e, per questo, senza tempo. Nel 1938 c’era l’Italia dei “combattenti di terra, di mare e dell’aria”, oggi l’insicurezza gemmata da una pandemia e, forse, da un nuovo conflitto. Né il registro classico (pur con qualche “fiammata” come il vestito rosso di Anna) autorizza una fuorviante etichettatura d’antan. Come in un lunghissimo crepuscolo, “L’ombra del giorno” si allunga fino a far presagire la notte. Non prima, però, di uno sguardo sul mare (forse una speranza) sulle note di una ballata moderna (“Vivo” di Andrea Laszlo De Simone: come, forse, si sente finalmente Luciano) eppure senza tempo. (m.c.)
Voto: 7
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