Cinema al 100 per cento, le recensioni dei film usciti il 5 maggio
“Una squadra” di Domenico Procacci non è solo un film sul tennis, ma sulla vita di quattro uomini e del mondo intorno a loro con un registro che ricorda la commedia all’italiana. La storia di una canzone e di una cantante in “Gli Stati Uniti contro Billie Holiday”. Nina Hoss, madre, insegnante e donna nel film di Ina Weisse “L’audizione”
GLI STATI UNITI CONTRO BILLIE HOLIDAY
Regia: Lee Daniels
Cast: Andra Day; Garrett Hedlund; Natasha Lyonne, Tyler James Williams
Durata: 130’
“Gli alberi del sud danno uno strano frutto/Sangue sulle foglie e sangue sulle radici/Corpi neri dondolanti alla brezza del sud/Strani frutti appesi ai pioppi”. Era il 1939 quando Billie Holiday cantò per la prima volta “Strange Fruit” al Cafè Society di New York. Con quell’immagine cruda ed evocativa di corpi scorticati appesi agli alberi, la cantante jazz denunciava il linciaggio dei neri del sud negli Stati Uniti: già due anni prima, la proposta di legge presentata al Senato per l’abolizione di quella pratica disumana era stata respinta. Attraverso la storia di quel brano “Gli Stati Uniti contro Billie Holiday”, diretto da Lee Daniels (già candidato all’Oscar per “Precious”), racconta l’America ossessionata dal simbolo che l’artista aveva incarnato per l’embrionale movimento “black” e che, per questo, fu perseguitata e strategicamente “accompagnata” nel suo percorso autodistruttivo.
Perché nella dipendenza dalle droghe di Eleanora Fagan (questo il vero nome di Billie Holiday), la Federal Bureau of Narcotics e il suo capo Harry Anslinger (Garrett Hedlund) trovarono la chiave per silenziare quella voce di rivolta. Il film di Daniels si smarca, così, dal biopic puro, scegliendo, piuttosto e sin dal titolo, un punto di vista sociale e culturale che, naturalmente, gravita attorno alla cantante e al suo mondo fuori dagli schemi (ed è, forse, nel ritratto un po’ sguaiato della sua crew e in qualche schematismo di troppo che il film tende a smarrirsi in un racconto più convenzionale e ad effetto). Lo stile, come già in “Precious”, è carico, saturato come la vita di Billie Holiday (interpretata da una intensa Andra Day), con tre matrimoni alle spalle e una cerchia di “amici” non sempre disinteressata ma complice nel renderla bersaglio del governo. Ancora oggi quei versi di “Strange Fruit” suonano feroci e attuali: averli riportati agli occhi e alle orecchie un giusto tributo a chi, per la causa dei neri americani, ha pagato con la vita (m.c.)
Voto: 6,5
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UNA SQUADRA
Regia: Domenico Procacci
Protagonisti: Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti, Tonino Zugarelli, Nicola Pietrangeli
Durata: 88’
Evento speciale a Treviso: 11 maggio al Teatro del Monaco (ore 18)
Nel 1976 l’Italia del tennis gioca la finale della Coppa Davis, un trofeo che non ha mai conquistato. Un momento di sport che dovrebbe unire il Paese ma l’incontro decisivo è in programma a Santiago, nel Cile di Pinochet: molta parte dell’opinione pubblica (politici, artisti, gente comune: Modugno ci scrisse pure una canzone-sberleffo) si schiera perché la nazionale diserti la trasferta per boicottare il regime sanguinario del dittatore cileno. Ma nel destino era scritto che la squadra formata da Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti e Tonino Zugarelli, guidati da Nicola Pietrangeli (capitano non giocatore) e dal responsabile tecnico Mario Belardinelli, quella Coppa dovesse portarla a casa: sarà l’unica per l’Italia nella storia del tennis.
“Una squadra” - la docu-serie realizzata da Domenico Procacci, alla sua prima esperienza da regista dopo una vita da produttore con la sua Fandango, compendiata in un film arrivato in sala (sarà a Treviso l’11 maggio) come evento e trasmessa da Sky Documentaries e Now Tv a partire dal 14 maggio – racconta quell’impresa, ma non solo. È un gioioso affresco di quegli anni che mette insieme le immagini di repertorio con le testimonianze dei protagonisti di allora. Più che un’opera sul gesto sportivo, una commedia quasi monicelliana, grazie anche al carattere di quei tennisti (ma, prima ancora, uomini) così diversi non solo in campo, ma soprattutto nel modo di affrontare la vita. Adriano Panatta era la punta di diamante indiscussa di quella squadra, con quel cognome la cui radice rimanda a un tutto da mordere voracemente (le partite, la vita da copertina, i viaggi intorno al mondo, le donne, il successo). Paolo Bertolucci era il suo sodale: giocavano insieme il doppio e vivevano da “marito e moglie” in un appartamento del quartiere Fleming di Roma: in 50 metri quadri erano capaci di organizzare feste con il gruppo di Arbore e Marenco fino a notte fonda, con Panatta mattatore di donne e Bertolucci pronto a raccoglierne qualcuna “di rimbalzo”. E poi, quasi come un controcanto, i più schivi e riservati Corrado Barazzutti, udinese ma piemontese di adozione, con il suo approccio molto “quadrato” e spesso in competizione con Panatta e Tonino Zugarelli che “quando diceva tre, quattro parole al giorno era tanto”. “Una squadra” fa parlare tra di loro i protagonisti senza che si instauri un vero e proprio dialogo attraverso un montaggio che consente a Panatta di rispondere a Barazzutti e Zugarelli a Bertolucci, con Pietrangeli nel ruolo di deus ex machina, che all’epoca sfidò la politica pur di portare l’Italia a Santiago. Il nastro si riavvolge più volte per raccontare le epiche deviazioni di viaggio di Panatta pur di godere di un’ora di sole sulle spiagge di Copacabana prima di tornare da un torneo di esibizione, o la famosa rissa di Barcellona sul campo centrale con Zugarelli che, inconsapevole, manda a quel paese il console italiano. Una delle rare opere sul tennis capace di appassionare, considerando la tradizionale anti-spettacolarità di questo sport sullo schermo, tanto che l’unico film realmente efficace resta “Match Point” di Woody Allen, proprio perché incentrato non sul gesto sportivo ma proprio su quelle piccole cose che fanno la differenza in partita e nella vita: una palla che si appoggia sul nastro e cade dalla parte giusta o un anello che rimbalza sulla balaustra del Tamigi e marca la differenza tra colpevolezza e innocenza. Quasi in contemporanea all’uscita della serie, il 12 maggio, sarà editato anche il libro, con lo stesso titolo, curato sempre da Domenico Procacci (m.c.)
Voto: 7,5
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L’AUDIZIONE
di Ina Weisse
con Nina Hoss, Simon Abkarian
Durata: 99’
“L’audizione” di Ina Weisse è una storia molto al femminile che descrive le sensazioni e le complicazioni didattiche e affettive di Anna Bronsky, una severa insegnante di violino in un liceo musicale a Berlino. È sposata con il liutaio francese Philippe Bronsky (Simon Abkarian) e insieme hanno un figlio di 10 anni, Jonas (Serafin Mishiev), che frequenta la stessa scuola.
La relazione con suo marito sembra sgretolarsi e Anna è alla ricerca di nuove sfide nella sua piuttosto noiosa vita familiare, tra genitori anziani e delusioni professionali. Durante gli esami di ammissione annuali della scuola, Anna rimane affascinata dal talento di un candidato, Alexander Paraskevas (Ilja Monti), al punto che si mette contro tutti gli altri insegnanti per ammetterlo. Così Anna prepara Alexander per gli esami intermedi, ma nello stesso tempo diventa una fissazione. Trascorrendo la maggior parte del tempo con lui, trascura la sua famiglia, mettendo il suo dovere al di sopra dell'amore per il marito e il figlio. Pur girato con professionalità e complessivamente ben recitato, il film è tuttavia abbastanza esile nella sua idea generale, troppo dèja vu e soprattutto resa in modo troppo lineare e prevedibile, con grande ricorso alla musica che oltre ad assumere un valore narrativo, colma evidenti laciune di sceneggiatura. Il film così diventa una sorta di omaggio all’imponente performance di Nina Hoss, da vent'anni una delle più grandi attrici della sua generazione, musa ispiratrice della new wave tedesca. Una curiosità: la canzone che Philippe Bronsky canta all’inizio, Le Temps des Cerises, era l’inno della Comune di Parigi. (mi.go.).
Voto: 5,5
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